Il blocco del suo profilo Facebook è durato solo pochi minuti. Giusto il tempo di far presente al più importante social network che il post contestato conteneva tutt’altro che un’apologia del fascismo. Strana democrazia, quella che regna online: basta un giudizio non conforme alla vulgata imposta dal politically correct per vedersi oscurati. Esattamente quel che è capitato poche ora fa al vicedirettore del Tg1 Angelo Polimeno Bottai. Il suo peccato? Aver ricordato la ricorrenza del 25 Aprile senza intingere la penna nella melassa della retorica ufficiale. Ma senza per questo rinunciare a sottolineare il valore della libertà.
Ha infatti messo in bella mostra una scheda elettorale del referendum del 1929 – Anno VII E.F. – su alcune «disposizioni approvate dal Gran Consiglio», evidenziando come su di essa si potesse votare solo “Sì“. E più sotto, in risposta ad un contatto, il seguente post: «Le dittature comuniste e naziste sono simili. Quella fascista, certamente brutta, per fortuna non è arrivata a quel livello di crimini». Un giudizio incontrovertibile, che solo chi ha tutti e due gli occhi foderati di prosciutto si rifiuta di vedere. Ma forse, nel caso in questione, più che il post, potè il suo autore. Anzi, più della storia, conta l’albero genealogico. «Bottai ahi ahi», aveva infatti in un primo momento titolato Dagospia mettendo avanti a tutto il nonno materno del vicedirettore del Tg1: appunto, Giuseppe Bottai.
Un nome, quest’ultimo, che non ha certo bisogno di presentazioni. È stato infatti ministro di Mussolini, gerarca, combattente, uomo di raffinata cultura e legislatore tra i più lungimiranti. Tanto fascista quanto eretico. Condannato a morte per aver votato l’odg Grandi che il 25 luglio del ’43 determinò la caduta del regime, Bottai scampò alla fucilazione. Da qui la decisione di arruolarsi da soldato semplice nella Legione straniera per combattere i nazisti. È storia. Circa tre anni fa, Polimeno ha ottenuto di associare al cognome paterno anche quello del nonno materno. Non lo ha fatto – come ha insinuato Dagospia raccogliendo alcune voci (Rai?) – per «farsi notare dalla destra sovranista, ora giunta al potere a Viale Mazzini». Ma, più semplicemente, per tenere in vita un cognome che fu di assoluto rilievo nell’Italia tra le due guerre. E al quale, non dimentichiamolo, devono la carriera e molto di più anche tanti antifascisti del giorno dopo. Ma questa è un’altra storia.
L'articolo Giornalista del Tg1 pubblica un post critico sul fascismo. Ma si chiama Bottai e Fb lo oscura sembra essere il primo su Secolo d'Italia.