TRIESTE Due giorni per andare da Torino a Trieste, saltando da un treno a una corriera, sotto l’incubo degli allarmi aerei. L’ultimo tratto, abbandonati per strada i bagagli, percorso su furgoncini a motore scoperti, sotto un violento temporale. Ancora pioggia allo stadio di Valmaura, un uragano “degno del quarto atto del Rigoletto” come scriveva il Piccolo della Sera del 12 luglio 1944 e, dopo la partita, il ritorno in Piemonte.
Altri tre infiniti giorni di viaggio su strade impraticabili, passaggi di fortuna rimediati su camion di sfollati, bombardamenti, check point delle Brigate Nere. L’odissea di quel viaggio a Trieste costò ai calciatori del Torino lo scudetto di quel lontano Campionato di guerra Alta Italia. Appena tre giorni dopo essere rientrati a casa, avrebbero dovuto giocare la partita decisiva a Milano contro il 42° Corpo dei Vigili del Fuoco di La Spezia, una squadra raffazzonata, messa insieme solo per evitare ai giovani calciatori del circondario di essere arruolati tra i fascisti di Salò. Eppure quel manipolo di seconde linee fece l’impresa approfittando di un Torino ancora fiaccato dalla trasferta di Trieste e vinse 2-1, conquistando un titolo che però non fu mai riconosciuto dalla Federazione, che attribuì ai Vigili del Fuoco una Coppa federale. Solo nel 2002 la Figc avrebbe dato un contentino agli spezzini, riconoscendo “il valore etico-storico” di quel campionato che si svolse tra mille avversità. Va detto che il percorso verso quel trionfo inatteso fu favorito da una serie incredibile di condizioni favorevoli: penalizzazioni inflitte agli avversari, rinunce, la partita con il forte Bologna interrotta dalla fuga dell’arbitro, che dopo aver convalidato un gol ai Vigili del Fuoco era stato aggredito dai calciatori rossoblù e dal pubblico.
Quel rocambolesco e drammatico torneo viene ripercorso nel libro “Giocare col fuoco” (Mattioli 1885, 286 pagg., 14 euro). L’autore, Marco Ballestracci, ha vinto due volte il premio Selezione Bancarella Sport e nel 2019 ha pubblicato, sempre per Mattioli, “Lo sport e il confine del mondo”, in cui Sergio Tavčar, per anni ‘voce’ di Tv Capodistria, racconta l’avventura storica e sportiva della Jugoslavia.
Anche in “Giocare col fuoco” Ballestracci punta sul suo talento di narratore e racconta le vicende dei protagonisti dell’epopea dei Vigili del Fuoco in forma romanzata ma, spiega l’autore “conoscendo le storie che girano ancora tra i paesini della Lunigiana, il verosimile sfiora la realtà”. Inserisce perciò nella trama sportiva un ragazzo, Natalino, che per le sue doti di meccanico viene assunto dai Vigili del Fuoco per riparare il pullman usato per le trasferte della squadra. In realtà si trattava di un’autobotte che aveva un cassone montato sulla parte superiore dove sedevano i giocatori, mentre all’interno era piena di sale, pregiata merce di scambio per ottenere pane e generi alimentari. In quei mesi di guerra mancava di tutto, ma nonostante le difficoltà e i disagi il campionato non si era fermato, ma allestire un torneo di calcio in quelle condizioni era un’impresa. A cominciare dai giocatori, sempre a rischio di essere arruolati o deportati. Perciò il regolamento stilato dal Coni della Repubblica Sociale consentiva alle società di tesserare temporaneamente quei giocatori, anche se appartenevano ad altre squadre, che si trovavano in zona perché sfollati.
Così il triestino Pino Grezar, nonostante fosse del Torino, giocò nelle file dell’Ampelea, la squadra di Isola d’Istria. Alcune squadre adottarono il trucco di fare assumere i calciatori da industrie che rivestivano un interesse bellico. La Fiat sponsorizzò, strano pensarlo oggi, il Torino, mentre la Juventus trovò nella Cisitalia il suo rifugio. Barbieri, l’allenatore dello Spezia, che aveva visto il proprio presidente deportato in Germania, ebbe l’idea di rivolgersi all’ingegner Gandino, capo dei Vigili del Fuoco. Sapeva che per gli allarmi antiaerei e i bombardamenti i pompieri avevano bisogno di aumentare il personale, e che il loro status li esentava dal fronte e garantiva vitto e alloggio. Avuto l’appoggio di Gandino, allestì una specie di compagnia di ventura di calciatori che, oltre che dello Spezia, erano del Napoli, del Livorno, del Palermo, uno addirittura non aveva squadra. Il campionato venne compresso in pochi mesi. Si cominciò in dicembre per finire a luglio. Tutto era precario, ci si spostava ricorrendo a mezzi di fortuna, spesso i viaggi erano interrotti dagli attacchi aerei, a volte le squadre scendevano in campo in dieci o in nove, scoppiavano risse in campo e sugli spalti. Nella partita Venezia-Ampelea i calciatori istriani, che si ritenevano defraudati per aver subito un gol irregolare, avevano abbandonato il campo a dieci minuti dalla fine. L’andamento della guerra scompaginò i risultati ottenuti sul campo: alla Lazio, che aveva vinto il raggruppamento romano, fu impedito l’accesso al girone finale perché nel frattempo il 4 giugno Roma era stata liberata dagli angloamericani, e andare a nord non era più possibile.
Nonostante tutto l’esito sembrava scontato. Il Torino era la squadra più forte, c’erano gli assi che sarebbero morti a Superga con l’aggiunta di Piola. Ma il Coni, che voleva tirare su un po’ di soldi con partite di richiamo, fece incontrare le rappresentative regionali. Ma quella partita a Trieste costò ai granata lo scudetto. Perché, se invece degli sconosciuti pompieri avesse vinto il Torino, scommettiamo che lo scudetto glielo avrebbero assegnato?