Arriva un momento nella vita di tutti in cui le storie che ci vengono raccontate da bambini svaniscono nel nulla lasciando posto alla realtà. Succede all’improvviso, in un momento indefinito in cui ci rendiamo conto che certe cose non stanno né in cielo né in terra. E quindi, niente più Babbo Natale, niente più Fatina dei denti, e benvenuti abbuffata natalizia e dentista, spesso in diretta successione.
Questo in teoria dovrebbe avvenire per chiunque, eppure c’è ancora una fetta di persone (ormai lontana dall’età prescolare), che ad alcune leggende metropolitane ci crede eccome: la più gettonata di questi tempi è la famigerata «dittatura del politicamente corretto».
Ma facciamo un passo indietro. Il politicamente corretto si diffonde in maniera significativa alla fine degli anni Ottanta negli Stati Uniti, e secondo la Treccani «designa un orientamento ideologico e culturale di estremo rispetto verso tutti, nel quale cioè si evita ogni potenziale offesa verso determinate categorie di persone». In Italia pur non avendo raggiunto i livelli di attenzione dei paesi anglofoni, ha comunque prodotto una certa sensibilità di linguaggio che, soprattutto negli ultimi anni, ha generato diverse discussioni.
Prima di diventare un tema così caldo, l’unica condanna che veniva fatta al politicamente corretto era lagata a un suo utilizzo ipocrita e di facciata, che nella sostanza non dimostrava alcun riguardo per le categorie che si prefiggeva di rispettare. Come donna con disabilità mi è capitato spesso di imbattermi in questa ipocrisia linguistica, negli anni ho visto fioccare parole sempre nuove al solo scopo di evitare quelle accettate dalla comunità disabile, molto più semplici e dirette. Questo modo di fare rivela non solo mancanza di interesse nell’aggiornamento del lessico, ma anche un evidente disagio nel trattare questi argomenti, ed è così che si usa portatore di handicap invece che disabile, spuntano le negazioni, come non vedente/non udente/non deambulante al posto di cieco/sordo/con paraplegia, e tutti i vari «diversamente qualcosa», su cui devo ammettere è dura non fare battute. Alla fine è semplice: persona disabile o persona con disabilità sono attualmente i termini generici corretti, e comunque in caso di dubbi chiedere ai diretti interessati non fa mai male.
Oggi il politicamente corretto viene erroneamente associato a una forma di dittatura e controllo della libertà di espressione, una sorta di censura riassumibile nel famoso «non si può più dire niente», una deriva troppo suscettibile che secondo alcuni finisce per sfociare nella cosiddetta cancel culture.
Lo abbiamo visto con le reazioni al disclaimer applicato a Via col vento da HBO Max, o in relazione alle critiche sollevate dal comitato paralimpico nei confronti del film di Robert Zemeckis, Le streghe, per non parlare delle recenti discussioni intorno alla nuova biografia di Philip Roth, scritta da Blake Bailey e in arrivo in Italia l’anno prossimo, che lo accusa di maschilismo e misoginia.
Chiamare dittatura ciò che in realtà è un dibattito, dimostra quanto difficile sia per alcune persone accettare il cambiamento, oltre al fatto che se ci fosse realmente una dittatura in questo momento scriverei da una cella, e non dalla mia confortevole stanza. Il fatto che oggi esista un dialogo acceso su questi temi è segno che minoranze e gruppi marginalizzati riescono dopo anni di silenziamento a far ascoltare la loro voce. Tutti i prodotti oggetto di discussione sono sempre lì, nessuno li ha eliminati dal mercato, si è semplicemente creata intorno una complessità che permette alle persone di osservare qualcosa da più punti di vista, e di conseguenza scegliere se continuare a fruirne o meno.
Pensare che tutto questo sia sinonimo di potere acquisito vuol dire guardare il dito e non la luna, perché la maggioranza dei ruoli decisionali è ancora appannaggio maschile, così come i media e l’intrattenimento escludono tuttora tante minoranze. Per cui, quello che viene erroneamente etichettato come politicamente corretto è di fatto una richiesta di rappresentanza e rappresentazione, ma soprattutto di ascolto.
È importante che si ragioni seriamente su questo tema senza impedirne il dibattito, perché è quando il dibattito si affievolisce che nascono gli intoccabili e ogni critica diventa attacco, impedendoci così di guardare oltre il mito.