In Maremma il vino è un miracolo, che porta nei suoi profumi la storia millenaria di questa terra favolosa». Sono parole di Giacomo Tachis, il più grande enologo italiano, visionario quanto basta da credere – quando ci credevano in pochi – che i vigneti di Maremma avessero ben poco da invidiare ai più blasonati cugini del Chianti e di Montalcino. Lo disse in un’intervista per la rivista “Fare” edita dalla Provincia di Grosseto, nei primi anni Duemila, e ebbe modo di ripeterlo dieci anni dopo, presentando il rosso Barbicato dell’Alberese, che aveva “firmato” per l’omonima azienda agricola della Regione.
Non si sbagliava quell’uomo che custodiva gelosamente, nella sua casa di San Casciano Val di Pesa, un patrimonio inestimabile di libri sulla storia del vino, della vite e dell’enologia. Andava ripetendo che il vino maremmano doveva ancora crescere e anche in quel caso aveva ragione. Se oggi fosse ancora tra noi, sarebbe orgoglioso della sua lungimiranza “enologica”.
La Maremma, nell’ultimo ventennio del Novecento era la frontiera del vino e attraeva l’occhio lungo di chi vedeva nelle sue caratteristiche pedoclimatiche un luogo unico al mondo per produrre vini diversi e di altissima qualità. Il tempo gli ha dato ragione Sono stati i Biondi Santi, i Frescobaldi gli Antinori, i Mazzei, i Guicciardini, i Cinelli Colombini, i Mantellassi a crederci per primi. Più avanti Zonin, Cecchi, Rotschild-Panerai, fino a Claudio Tipa, vignaiolo dell’anno 2020 secondo la guida “I migliori 100 vini e vignaioli d’Italia”, patron del gruppo Colle Massari, che ha messo insieme Montalcino, Bolgheri e Montecucco. Grazie al loro interesse per la Maremma anche la mentalità dei produttori locali ha cominciato a cambiare, per arrivare nel tempo a costruire un tessuto di circa 700 aziende – tra viticoltori e produttori “verticali”, dalla vigna al bicchiere – che oggi sono la spina dorsale di un mondo produttivo da 70-80milioni all’anno di euro, in fatturato stimato. In provincia di Grosseto, il vigneto è di poco inferiore ai 9mila ettari, il terzo in Toscana, in prevalenza vitigni a bacca nera, sui quali predomina il Sangiovese che occupa la metà del totale. Nel bianco prevale il Vermentino, l’80 per cento dei vitigni a bacca bianca.
Sette le Doc e due le Docg, delle quali la più datata è il Morellino Docg. La seconda arrivata è la Docg Montecucco Sangiovese (da non confondere con la Doc Montecucco). Poi c’è una parte consistente di aziende che producono solo vino Igt Toscana e che non sono riconducibili alle denominazioni. Ciò non significa minore qualità di prodotto, ma scelte diverse di produzione che privilegiano il taglio bordolese e i vitigni internazionali mettendo da parte l’onnipresente Sangiovese. Tre i consorzi di tutela più importanti, il Morellino, il Montecucco, quello della Doc Maremma, l’ultima arrivata, la più dinamica, che comprende tutto il territorio provinciale.
Nel 2020, sono stati raccolti 450. 247 quintali di uva, dei quali 279. 221 destinati ai vini Dop (Doc e Docg) e 171.026 all’Igt. Il vino prodotto è stimato in circa 260mila ettolitri, che tradotto in bottiglie si aggira sui 35 milioni, ma va considerato che una parte viene imbottigliato come Igt. In linea di massima, dunque, la produzione annua di bottiglie Dop, su aggira sui 18 milioni. Nell’ultimo anno, la pandemia ha messo in ginocchio le aziende, ma sono pronte a ripartire e a reinventarsi. «Cominciamo a vedere la luce in fondo al tunnel», dice Francesco Mazzei, fiorentino, nome d’arte del vino (sono della famiglia, il Castello di Fonterutoli nel Chianti classico, una tenuta in Sicilia e una in Maremma, Belguardo, poco a sud di Grosseto). Presidente dell’Associazione vini toscani Dop e Igp, e, dal 2018 del consorzio tutela della Doc Maremma, è uomo che guarda avanti, con il giusto equilibrio di competenza e provocazione portate in dote nei tre anni di guida al Consorzio, tanto da far digerire una modifica del disciplinare di produzione. Circa 300 aziende, 2. 500 ettari di vigneto, per una produzione che si aggira sui 6 milioni di bottiglie all’anno, la Doc Maremma «è una denominazione di seconda generazione – spiega Mazzei – diversa dalle altre per il suo territorio variegato per clima e qualità dei terreni. Che si sposa dunque con tanti vitigni a seconda dei terreni: dal Sangiovese, storicamente presente, al Vermentino, il più interessante, al Ciliegiolo, l’Ansonica, l’Alicante, per arrivare a una significativa espressione di vitigni internazionali, come il Cabernet Franc e Sauvignon e il Syrah, che qui acquistano sentori diversi e unici. Ecco, potrei definire la Doc Maremma, la Napa Valley della Toscana, una nuova frontiera del modo di produrre», conclude in riferimento alla contea californiana, celebre per i suoi vini, a singola denominazione, ma che comprende sottodenominazioni, ciascuna con caratteristiche specifiche. Ma se si parla di vino in Maremma, non si può prescindere dal Morellino (Doc dal 1978, Docg dal 2006). Molte grandi aziende accanto a tantissimi piccoli produttori di uve, consorziati nella cantina dei Vignaioli di Scansano, una realtà cooperativa tra le più importanti nel settore. Il Morellino è stato il primo vino a “risorgere”, in provincia di Grosseto, trainando altre Doc e soprattutto la crescita “culturale” dei produttori locali. Da maggio 2020, alla guida del Consorzio di tutela del Morellino – circa 200 aziende associate e almeno 90 etichette, per una produzione di 9-10 milioni di bottiglie all’anno e un fatturato stimato tra 50 e 60 milioni di euro – c’è Bernardo Guicciardini Calamai. Anche in questo caso famiglia storica, legata al Castello di Poppiano nel Chianti Colli fiorentini, che in Maremma ha la tenuta Massi di Mandorlaia. Fiorentino, innamorato della Maremma e dei maremmani, si dice onorato di essere stato chiamato alla presidenza del consorzio. La sua idea di promozione del vino è a tuttotondo, unita al territorio e alle sue eccellenze. «A breve lanceremo un nuovo portale, “Visit Morellino”, che ha il nucleo in questo vino, ma che intende valorizzare tutta la Maremma, mettendo insieme le opportunità, le eccellenze culturali, ambientali, storiche, enogastronomiche e gli ambiti che normalmente non sono collegati. C’è voglia di ripartire di farsi conoscere di più e meglio. Anche l’evento “Maremmma”, che stiamo portando avanti e che la pandemia ha rallentato, va in questa direzione e ha già avuto importanti riscontri. Bisogna fare gruppo e muoversi in maniera unitaria, anche con altre realtà del vino toscano.
Oggi – conclude Guicciardini – lo sforzo di tutti si concentra nell’uscire dal tunnel della crisi pandemica, che lascerà morti sul terreno, ma passato questo momento ci rialzeremo solo uniti». —
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