UDINE. Emesso il verdetto di primo grado nel processo per il crac di Banca Popolare di Vicenza, adesso l’attenzione si sposta su cosa succederà da ora in poi. Su quali saranno le tappe che, in tempi si spera brevi, dovrebbero portare a una sentenza definitiva nei confronti dell’ex patron dell’istituto, Gianni Zonin, e degli altri amministratori e dirigenti che con lui erano imputati.
Primo step, le motivazioni della sentenza: tappa importantissima per capire quali saranno gli sviluppi della vicenda giudiziaria. Sono attese entro 90 giorni (17 giugno il limite massimo) e in quelle pagine che i giudici scriveranno, si capiranno le ragioni che hanno portato a questa conclusione. Quindi gli avvocati difensori presenteranno appello. Il procedimento potrebbe aprirsi, se tutto filerà liscio, già alla fine del 2021 a Venezia.
Quindi - verosimilmente nel 2022 o 2023 - l’ultima parola della Cassazione, a Roma. Ancora anni di fiato sospeso, dunque, sia per gli accusati, che per le parti civili e per i risparmiatori traditi (12.500 solo in Friuli Venezia Giulia) che hanno visto andare in fumo azioni e obbligazioni subordinate della ex Popolare berica (nel 1998 aveva incorporato la storica Popolare Udinese) per importi che variano da poche migliaia di euro a milioni. Intanto però vediamo in cosa consiste la condanna di Zonin e quali sono gli aspetti più rilevanti del dispositivo letto dal giudice venerdì pomeriggio in tribunale.
Due anni di processo, 116 udienze, più di 160 testimoni sentiti e circa 8 mila parti civili. Tre i capi di imputazione contestati, falso in prospetto, ostacolo alla vigilanza e aggiotaggio. L’ex presidente di BpVi è stato condannato per tutti e tre i capi di imputazione, ma per aggiotaggio solo per condotte poste in essere dopo il 27 aprile 2013, mentre per le condotte precedenti il reato è stato prescritto. Falso in prospetto, ostacolo all’autorità di vigilanza e aggiotaggio con particolare riferimento alle «operazioni simulate» e «false notizie» diffuse con comunicati stampa e lettere inviate ai risparmiatori (si fa riferimento in particolare a una lettera del 9 settembre 2014).
In realtà si stava creando una perdita di poco meno di un miliardo di euro, con circa 7 miliardi di risparmi di 110.000 ex soci andati in fumo. In particolare è stato accertato che sono state poste in essere operazioni simulate, ma anche una serie di «artifici» in «occasione degli aumenti di capitale del 2013 e 2014 di azioni BpVi, per un controvalore di 963 milioni (…) così determinando in apparenza liquidità sul mercato secondario». A ciò si aggiunga la «omessa iscrizione al passivo dei bilanci 2012, 2013 e 2014 di una riserva pari all’importo complessivo delle operazioni di finanziamento finalizzate all’acquisto e alla sottoscrizione di azioni». Il tutto, condito da una presunta «macchina comunicativa» che aveva lo scopo di diffondere «false notizie» che enfatizzavano gli stessi aspetti critici, come la concessione dei finanziamenti.
L’aggiotaggio è normato dall’articolo 2637 del Codice e recita: «Chiunque diffonde notizie false, ovvero pone in essere operazioni simulate o altri artifici concretamente idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari, quotati o non quotati, ovvero a incidere in modo significativo sull’affidamento che il pubblico ripone nella stabilità patrimoniale di banche o di gruppi bancari, è punito con la pena della reclusione da uno a cinque anni».
Si prescrive in 6 anni. Il falso in prospetto fa riferimento all’articolo 173 bis del testo unico finanziario e recita: «Chiunque, allo scopo di conseguire per sè o per altri un ingiusto profitto, nei prospetti richiesti per l’offerta al pubblico di prodotti finanziari o l’ammissione alla quotazione nei mercati regolamentati, ovvero nei documenti da pubblicare in occasione delle offerte pubbliche di acquisto o di scambio, con l’intenzione di ingannare i destinatari del prospetto, espone false informazioni od occulta dati o notizie in modo idoneo a indurre in errore i suddetti destinatari, è punito con la reclusione da uno a cinque anni». Si prescrive in 6 anni. L’ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza, infine, è punito con la reclusione da uno a 4 anni.
Il Tribunale ha stabilito la confisca per Zonin, Marin, Piazzetta e Giustini per equivalente di 963 milioni di euro che sarebbe pari al valore del buco causato alle casse dell’istituto. Per violazione della normativa sulla responsabilità amministrativa degli enti, è stata condannata Banca Popolare di Vicenza Lca alla sanzione pecuniaria di 364 milioni, oltre a una confisca da 74 milioni. Ai condannati, inoltre, è stato imposto il pagamento di una provvisionale in favore di Bankitalia pari a 601.017 euro, mentre solo Giustini dovrà liquidare alla Consob 186.570 euro. Il Tribunale ha accertato il diritto dei risparmiatori ma anche di Bankitalia e Consob ad essere risarciti per aver subito le condotte illecite contestate. In via anticipata, il giudice penale ha previsto che i risparmiatori possano sin da subito ottenere un acconto pari al 5% di quanto perso in azioni e obbligazioni mentre Bankitalia 601 mila euro e Consob 186 mila.
Un capitolo importante, infine, riguarda la prescrizione: nel caso in cui la sentenza venga appellata (e sarà così), gli effetti civili (risarcimenti) non verranno vanificati mentre la pretesa punitiva dello Stato (reclusione e ammende) cesseranno per il decorso del tempo prescritto dalla legge senza che sia intervenuta una sentenza di condanna divenuta irrevocabile.