La dodicesima edizione del FashionClash Festival di Maastricht si è svolta dal 26 al 28 Febbraio, questa volta in live streaming accessibile a tutti, a causa della pandemia. Abbiamo potuto apprezzare un gruppo di talenti internazionali grazie a Branko PopovicNawie Kuiper e Laurens Hamacher, che hanno superato mille ostacoli per riuscire ad offrirci anche questa volta una rassegna che funge da sempre come piattaforma di lancio per designer emergenti. Il programma ha presentato sfilate di moda virtuali, mostre, cortometraggi, crossover con lo spettacolo e conferenze di moda dal vivo con i partecipanti del festival.

Quest'anno si è svolta anche la quarta edizione del Fashion Makes Sense Award, vinto dalla designer francese Mathilde Rougier, a cui la giuria internazionale ha assegnato un premio di €2500, mentre il designer ungherese Marko Feher ha vinto il premio del pubblico e un importo corrispondente di €1000. Della giuria ha fatto parte anche Sara Sozzani Maino, Head of Vogue Talents e Vicedirettrice di Vogue Italia.

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Mike Pasarella

Teun Seuren (TEUN) ha vinto il Chapeau Magazine Young Talent Award.

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Segnaliamo in particolare alcuni talenti che ci hanno colpito.

Berend Brus si è diplomato in fashion design presso la Willem de Kooning di Rotterdam nel 2018, ha partecipato al FashionClash nel 2019 e si è fatto conoscere a livello internazionale contribuendo l'anno scorso da designer alla prima edizione olandese del "Drag Race" creato da RuPaul, condotto in Olanda dal famoso presentatore e stylist Fred van Leer. Al FashionClash ha presentato la collezione "For Dear Life" nel contesto del "The Clash House", un programma concepito ad-hoc per questa edizione, incentrato su performance preparate dai designer, chiamati a sperimentare nuove forme di presentazione per il formato online, coadiuvati dagli artisti Mami Izumi e Giovanni Brand. Berend Brus ha dato nuovamente prova del suo immenso talento e commosso con una performance bellissima, accompagnandoci in un percorso visivo paragonabile a un tunnel che segna il passaggio dal buio alla luce, con una scena finale da brividi. Nel concetto del designer, la vita è cara (dear) in quanto amica ma anche nel senso del volersi aggrappare al vivere, perché la collezione parla di salute mentale e racconta non solo la sua storia ma anche quella di persone che conosce e cosa hanno affrontato per vincere la depressione attraverso un percorso di forti alti e bassi, ritrovando alla fine la luce. Berend Brus esplora gli angoli oscuri della coscienza e al tempo stesso la perseveranza, la voglia di voler ricominciare da zero scegliendo la vita piuttosto che la paralisi della disperazione, anche se questo può succedere solo quando gli ultimi detriti interiori sono stati riciclati e portati a nuova vita. 

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Proprio come succede nel processo e i materiali sostenibili che il designer ha scelto per creare la collezione, prelevati principalmente dallo Swapshop, un negozio di abbigliamento usato dove si possono scambiare vestiti non più indossati, rovinati, macchiati o fuori moda. Parte del materiale utilizzato gli è stato donato direttamente dagli amici e persone che hanno condiviso la loro storia di depressione e malattie mentali con lui, sapendo che non sarebbero stati giudicati o fraintesi. Dai piumoni in cui hanno dormito ai vestiti che hanno indossato nel periodo in cui non stavano bene, che variano da colori primari monotoni per cercare di scomparire dal mondo ad accostamenti full glam, per ravvivare le giornate. La collezione ha assunto un significato terapeutico non solo per il designer ma per le stesse persone che hanno contribuito, per cui dar via queste coperte e vestiti ha contrassegnato l'inizio del ritorno alla vita. Lo stesso processo che Berend Brus ha seguito nel purificare metaforicamente questi tessuti impregnati di emozioni negative, trasformandoli in capi nuovi, per cominciare una nuovo percorso. Proprio come il modello vestito di bianco trasparente che lascia il resto del gruppo nel buio nella performance presentata al FashionClash - e va verso la luce, proiettata da fari bianchi forti. Indimenticabile.

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Dopo aver vissuto in Polonia, Turchia, Pechino e Parigi, Mathilde Rougier ha studiato moda presso il prestigioso Central Saint Martins di Londra, dove è stata accettata subito dopo aver finito le scuole superiori e si è diplomata con una collezione chiamata "Modular Augmented Capsule", incentrata sulle tecnologie sostenibili emergenti. Tornata a Parigi, ha iniziato a seguire il Master in Accessori all'Ifm, che sta frequentando attualmente mentre lavora come freelance. Per la collezione presentata al FashionClash ha utilizzato un processo di costruzione modulare, in cui campionari di pelle e scarti sono stati tagliati in moduli di tassellatura, in modo da poter riutilizzare il massimo dei materiali disponibili. I frammenti a disposizione vengono riposizionati come mattoncini Lego e lavorati come pixel su una griglia, consentendo ai capi di avere iterazioni illimitate di se stessi usando gli stessi materiali.

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Il secondo processo utilizzato si basa sul riutilizzo di imballaggi in plastica LDPE. Il materiale è costruito attorno alla forma, le parti possono essere tagliate e incollate l'una all'altra, riducendo al minimo la perdita di materiale.
I pezzi utilizzati non vengono mai cuciti, rendendo i capi completamente smontabili e riciclabili.
Il terzo processo è stato basato usa lenzuola provenienti dagli hotel, fatte al al 100% di cotone, cucite ed unite con filo di cotone per preservare l'integrità del materiale e colorate con inchiostro cinese.
L'ultimo processo utilizza la realtà aumentata per tracciare gli indumenti, in modo da far evolvere le loro forme anche digitalmente. Mathilde Rougier crede fermamente che nella moda possa avvenire un cambiamento di sistema radicale. Lo scorso gennaio è entrata a far parte del comitato consultivo di una società chiamata XYZ Exchange - e cominciato a lavorare ad un progetto pilot in collaborazione con la Sustainable Angle e la LNCC a Londra, con lo scopo di promuovere designer emergenti, utilizzando un sistema IP basato sulla tecnologia blockchain e la consulenza sostenibile. Contemporaneamente, Mathilde Rougier sta lanciando il suo brand chiamato M23, con focus principale su borse e accessori.

Marko Potkozarac Feher photo Pasarella Photo
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Marko Potkozarac Feher è nato in Bosnia ed Erzegovina nel 1990 durante la guerra e ha trascorso cinque anni della sua infanzia in stato di guerra. Quel periodo ha esercitato una forte influenza su di lui e le sue creazioni attuali. Tuttora, la Bosnia ed Erzegovina non offre molte possibilità ai giovani in nessun settore, specie nella moda. Dopo aver frequentato per tre anni il college locale "Fashion and Textile", Marko Feher viene accettato al Central Saint Martins di Londra. Completa il primo anno ma poi è costretto a tornare in patria per mancanza di fondi. Tutto il lavoro di Marko si basa sulla ricerca della sua identità, esplorando anche il passato e i suoi antenati. Nelle collezioni precedenti, il designer parla di tradizioni che non sono ancora scomparse in alcuni luoghi remoti dei Balcani, come quella secondo cui se il terzo figlio di una famiglia non è un maschio, viene ucciso o cresciuto come un uomo, anche se nata femmina. 

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La collezione presentata al FashionClash si chiama "THE GRANDFATHER'S LEGACY" e parla delle radici, che sono il nostro passato, presente e futuro. Ci racconta che suo nonno aveva deciso di donare tutti i suoi abiti alla Croce Rossa perché non ne aveva più bisogno e poi quasi buttati via dopo che gli erano stati rifiutati, in quanto le loro scorte erano piene. Il designer ha raccolto questi vestiti di altissima qualità e li ha ridisegnati, onorando l'eredità di suo nonno e la sua memoria. Ha riutilizzato abiti vecchi, camicie, cravatte, scarpe, pantofole, cappotti, pantaloni e riciclato distintivi, cinture e bottoni, riciclando in questa maniera innanzitutto i ricordi, per renderli immortali. Ha fatto ricerche sulla storia di suo nonno, attraverso fotografie e i lavori che la lasciato, rendendosi conto che spesso usava strisce per esprimersi, sia in quello che indossava che nei pezzi d'artigianato che creava, persino nelle porte e sui muri di casa. Le strisce diventano dunque anche il leitmotiv della sua collezione. Lo scopo di Marko Feher è di creare abiti che abbiano un senso, pur restando indossabili nella vita di tutti i giorni. Crede fortemente che tutti dovrebbero interessarsi al riciclaggio perché abbiamo già tanto e troppo, non abbiamo bisogno di comprare cose nuove che spesso diventano automaticamete rifiuti. 

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Per la sua collezione di menswear "Benvenuti a DeusLand S34S0N 2", Andrea Grossi ha completato un progetto nato nel 2019 con cui ha raggiunto le selezioni finali del prestigioso Festival Internazionale di moda di Hyères - e si basa su collaborazioni importanti fatte con Chanel, Chloè, Ecco Leather, Swarovski, Premiere Vision, Fashion Open Studio e PuntoSeta.
Scopo della collezione è di rinnovare il concetto tradizionale del Made in Italy, unendo il know-how delle piccole aziende locali alla sperimentazione delle fibre alternative fatta da aziende del Nord Europa.
Il materiale utilizzato principalmente è la pelle proveniente da industrie toscane, che è al tempo stesso anche quello più inquinante in assoluto nel settore dell'abbigliamento. Il designer sperimenta utilizzando pelle vegetale di rabarbaro, di olive e pelle riciclata dagli scarti di lavorazione in partnership con una grande azienda Umbra, che rappresentano la trama di base dell'estetica futuristica e surreale già vista nella prima parte (la Season 1) della collezione, realizzata attraverso stampe di corpi 3D, tatuaggi a corrosione laser e un mix di tessuti uniti da tagli laser che creano un trait d'union tra artigianato e tecnologia. 

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Le stampe utilizzate sono ispirate dai Toile de Jouy e materializzano il forte contrasto tra una visuale eterea ma contraddistinta da silhouette biker marcatamente maschili, ad accentuare la polarizzazione tra passato e futuro, delicatezza e aggressività. Dal punto di vista tecnico, Andrea Grossi utilizza la digital couture, unendo forme tridimensionali create su modelli al design delle superfici realizzato con programmi digitali e 3D. Il designer vuole dimostrare che anche un'industria tradizionale e notoriamente inquinante come quella della pelle italiana possa evolversi attraverso l'impiego di nuove tecnologie, senza nulla togliere alla bellezza e al prestigio della storia locale.

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Il designer inglese Matthew Needham ha conseguito il MA Fashion presso la Central Saint Martins di Londra nel 2020, sostenuto sia dal British Fashion Council che dal Kering Sustainability Fund. Al suo attivo ha collaborazioni con le maison Chanel e Louis Vuitton, ha vestito l'attrice Emma Watson, lavorato col movimento Fashion Revolution e conseguito pubblicazioni internazionali importanti. Needham promuove un approccio stilistico decisamente innovativo, utilizzando materiali non ortodossi e fortemente improntati alla sostenibilità. Per i suoi capi, utilizza dead stock delle case di moda di lusso e il cosiddetto "fly-tipped waste", ovvero l'utilizzo di rifiuti depositati in zone di scarico illecite e spesso fatiscenti.

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Al FashionClash ha portato la collezione "ØYEBLIKK" (ovvero "In un batter d'occhio" in norvegese), presentata inizialmente il 14 febbraio 2020 durante l'MA Press Show della Central Saint Martins a Londra. In "ØYEBLIKK", il designer compie un processo di riflessione interiore dopo aver trascorso un lungo periodo a Bodø, in Norvegia, con un suo ex-partner. I ricordi legati ai giorni passati in Norvegia influenzano tuttora la sua visione del mondo, spingendolo a volerli rendere indissolubili, raccontandone la storia nella collezione e riflettendo sul valore intrinseco che quello che indossiamo acquisisce per tutti noi. A ogni capo viene allegata una descrizione dei materiali utilizzati, una storia e il motivo per cui è entrato a far parte della collezione. Le valigie recuperate nelle zone di scarico diventano borse multiuso, le vele delle navi e le tende diventano giacche impermeabili e le scorte dead stock della Vibram FiveFingers vengono riciclate con pietre dalla Norvegia. Per completare la collezione, il designer ha collaborato con la designer di sneakers Helen Kirkum, la modista Jo Miller e la bioscienziata Alice Potts. Grazie a quest'ultima, Needham è riuscito trasformare le sue stesse lacrime in cristalli, per poi integrarle nel "The Tearring", ovvero anelli di lacrime.
Il designer crede che nel periodo storico attuale sia di vitale importanza riflettere sul perché le cose esistano e a quale scopo sono destinate. Dovremmo dare priorità assoluta a cambiamenti positivi, promuovendo la sostenibilità da tutti i punti di vista e assumendoci tutti quanti delle responsabilità, per garantirci un futuro.

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Teun Seuren - il designer olandese che ha dato vita al brand TEUN - ci ha colpiti ancora una volta con una collezione forte ed intensa, che dà voce e anima a chi la indossa, rivendicando il diritto di poter essere se stessi al di là di qualunque chiusura mentale, sfidando i preconcetti e il giudizio altrui. Il designer continua a spiazzare il pubblico con creazioni in cui mascolinità e femminilità si fondono in maniera armonica e ribelle al tempo stesso, generando una bellezza che supera le barriere classiche del gender e crea uno spazio sicuro per tutti quelli che non si sentono protetti dalla società. Chiamata "Pick my flowers, they're wild", la nuova collezione di Teun riprende le circostanze in cui siamo costretti a vivere in questo periodo, interpretando il "Restate a casa" in senso metaforico per visualizzare la condizione di tutti i cosiddetti "diversi" come le persone di colore e chi come lui rigetta il tipo di vita ipermascolina dei cisgender bianchi, trovandosi spesso a doversi reprimere. Mai come ora tutti noi siamo stati privati della nostra libertà, anche se questo periodo di oppressione sociale dovrebbe essere solo temporaneo. Ma per tanti il dover "restare a casa" dura purtroppo all'infinito, perché la società rifiuta di accettarli e continuerà a farli sentire diversi e non benvoluti. Per TEUN la sostenibilità resta un punto di partenza importante e il designer continua a sperimentare per far cambiare i prodotti che usiamo da un punto di vista ecologico. Per questa collezione ha lavorato principalmente con dead stock dell'industria dei mobili e della moda e utilizzato tessuti come il raso rosa, che è una miscela pregiata di viscosa di seta proveniente da una casa di tessuti per tappezzeria di lusso. Il tulle floreale e la lana grigia provengono da una fabbrica di tessuti dead stock italiana. Alcuni look sono stati creati utilizzando materiali residui, come l'elmo con volant composto da centinaia di cerchi di rete. Nell'ambito di un processo creativo sostenibile, il designer ha coinvolto aziende locali, usando guanti di una giovane designer chiamata Jeanne, i gioielli del brand olandese Sisi Johanna e le unghie della sua nail stylist personale Manon.

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Il designer olandese Kevin Pleiter si è diplomato nel 2019 presso la scuola di moda ArtEZ di Arnhem con una collezione incentrata sulla ricerca della qualità spaziale e pittorica della maglia, sbocco naturale di una ricerca nel panorama del lavoro a maglia svolto nel tempo. Cresciuto in un piccolo villaggio vicino Arnhem, ha imparato ad apprezzare il fai-da-te e l'artigianato di suo padre e suo nonno, oltre che il lavorare a maglia e con l'uncinetto di sua madre e sua nonna, fatti con cura ed amore. Pensa ci sia qualcosa di rassicurante nel poter lavorare in un contesto domestico, senza essere messi costantemente sotto pressione dai ritmi attuali, anche se ama le dinamiche e l'energia delle grandi città. La collezione presentata al FashionClash, chiamata "Insert Artifact", promuove il lavoro a maglia, il suo aspetto artigianale e la sensazione di conforto che ne deriva. Tutti i filati utilizzati vengono da dead stock, sono Ecotec / riciclati o residui di progetti di diploma precedenti. Il designer desidera che i capi sembrino modellati, scolpiti e mostrino qualità pittoriche. Kevin Pleiter crede che la sostenibilità sia legata in maniera imprescindibile a un tipo di approccio personale e autentico nel creare.

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La designer olandese Esra Copur si è diplomata nel 2019 in fashion design presso la scuola di moda HKU di Utrecht. Nel 2018 ha lavorato da stagista da Richard Malone a Londra. Ha poi partecipato a un'edizione precedente del FashionClash ed esposto le sue creazioni durante la Dutch Design Week. Ha anche lavorato da freelance e ho realizzato progetti relativi a design di costumi e styling per film. Si è unita al progetto Taskforce Fashion insieme a Branko Popovic e diversi altri esponenti della moda olandese.
Il suo obiettivo è di continuare a realizzare progetti interdisciplinari relativi principalmente alla sostenibilità. La collezione "Threefold" presentata al FashionClash, è stata ispirata dalla forza del concetto del tre e i suoi simboli. Gli eventi del periodo che viviamo ci hanno fatto capire che una corrente di pensiero collettiva può davvero cambiare e migliorare le cose, a prescindere da quello che pensano le masse. La designer crede che la sostenibilità debba essere al centro di ogni progetto e ha utilizzato per la sua collezione ready-to-wear residui di dead stock per creare capi completamente riadattati, senza dover rinunciare alla sua visione estetica e dimostrando che il concetto, la qualità e la sostenibilità vanno di pari passo e possono anche migliorare tutti i soggetti coinvolti. Partendo da indumenti di base come una semplice camicia bianca, Esra Copur smembra e ricostruisce attraverso soluzioni sorprendenti e visivamente forti, che toccano il design architettonico creativo.

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La collezione MICHI’M X MAX NIEREISEL nasce dalla collaborazione tra i designer olandesi Max Niereisel e Michelle Cornelissen. Max Niereisel ha studiato all'AMFI di Amsterdam e si è poi diplomato presso L'Accademia di Belle Arti di Maastricht nel 2019. Ha poi lavorato per il reparto costumi dell'Opera Zuid insieme a Michelle Cornelissen - e collaborato con diversi brand. Nel 2019 ha debuttato al FashionClash Festival con "Eternal Splendor", una collezione di abiti di lusso interpretati con un tocco moderno, concetto caro al designer, che ama creare abiti con background storico. Michelle Cornelissen ha studiato presso il Koning Willem 1 College, l'Accademia di Belle Arti e Design di Maastricht e la Royal Danish Academy of Fine Arts di Copenaghen. Ha collaborato a diversi progetti, tra cui il pop-up store al Patta di Amsterdam, il programma di sviluppo della Fashion House Business e lavorato presso il reparto costumi dell'Opera Zuid insieme a Max Niereisel. Attualmente sta lavorando al "MICHI’M", il brand che lancerà a breve. La collezione è nata dalla riflessione sui tempi che viviamo, in cui siamo costretti a rispettare mille regole che ci spingono a tornare alla base delle cose per ritrovare un senso di sicurezza ed acquisire nuove identità all'interno del gruppo. Il credente, il sognatore, l'eccessivo sono creature della cultura pop moderna che i designer amplificano all'estremo e rendono immortali. Da esseri umani non possiamo vivere eternamente ma vogliamo lasciare dei segni indelebili, proprio come i ritratti vittoriani post mortem dei "morti viventi" che hanno ispirato la collezione. Scopo dei designer è anche quello di ridefinire identità e categorie, riferendosi a libri che descrivono come la libertà sessuale nella comunità queer non sia stata sviluppata da una credenza secolare ma formata da gruppi sociali specifici. La collezione è composta da pezzi singoli prodotti in atelier. I designer hanno scelto di creare prodotti di alta qualità che possono essere indossati a lungo, utilizzando materiali di seconda mano e lana, seta, poliestere e viscosa acquistati da dead stock, che hanno trasformato in accessori e gioielli.

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Maarten van Mulken è un beniamino del pubblico locale e ha partecipato ad edizioni precedenti del FashionClash. Anche questa volta ha fatto centro con una collezione presentata nella sezione "The Clash House". Il designer ci confessa che la pandemia e le sue conseguenze nell'ultimo anno sono stati una lotta continua per lui - e ha veramente combattuto per riuscire a completare la collezione, chiamata "Unknown Entry Event", che rispecchia pienamente il suo stato d'animo. Tutti i capi sono stati fatti per durare e realizzati con materiale riciclato, tessuti di seconda mano, indumenti vintage e vecchi pezzi di stoffa ricuciti. I ricami e le paillettes sono stati fatti con plastica riciclata e sostanze presenti nei cumuli di rifiuti di cantieri edili. Per le borse sono state usate cravatte vecchie, poi ricamate a mano. Per i gioielli rifiuti riciclati, trovati per strada o in contenitori, bottiglie usate e plastica riciclata. Le pietre sono state fatte utilizzando materiale riciclato. I tessuti "nuovi" sono stati realizzati in cotone biologico o materiale sostenibile. Le stampe sono dipinte a mano o stampate digitalmente da inchiostri atossici su tessuti ecologici. Il risultato è una collezione che sfida gli standard della moda e attraversa i confini tra la moda del passato, l'industria fast-fashion, le assurdità che sperimentiamo nella vita attuale e le domande inevitabili che ne derivano, tra cui quelle fondamentali di cosa stia veramente succedendo, cosa verrà nel periodo post-pandemia e come dovremmo comportarci per sopravvivere. Per presentare la collezione, Maarten van Mulken ha creato un circo di varietà in cui prende in giro il vecchio e le regole a cui ci aggrappiamo, proponendoci sbocchi per il futuro e incoraggiandoci a sfidare la situazione attuale. La parola chiave per interpretare il suo messaggio è "empowerment", ovvero trovare il modo di diventare più forti e fiduciosi, soprattutto nel controllare la propria vita e rivendicare i propri diritti. Mai il messaggio di una collezione è stato più adatto a descrivere il modo in cui stiamo vivendo e cosa dovremmo fare per riuscire ad andare avanti.

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Mike Pasarella