Le parole in audizione al Tar che innescano la polemica. Si discute della chiusura dei centri estetici in zona rossa. L’avvocato De Bonis le definisce «attività peculiari» per motivarne la chiusura
La temperatura, nell’aula del Tar del Lazio, scende all’improvviso sotto zero. C’è un’audizione informale. I ricorrenti - Confestetica, associazione che rappresenta circa 22mila aziende in Italia - sono da un paio di mesi in lotta contro il governo. Non capiscono perché i barbieri e i parrucchieri, nelle zone rosse - ad alto rischio di contagio da coronavirus, possano stare aperti e i centri estetici no. Tre decreti di fila hanno ripetuto il concetto. Il 22 gennaio, prova a semplificarlo, l’ avvocato dello Stato Eugenio De Bonis che difende la posizione del governo e i suoi dpcm: «I centri estetici sono attività molto peculiari dove spesso c’è una commistione con attività poco chiare dove si esercita la prostituzione».
L’incontro è a porte chiuse, visto che si svolge in Camera di consiglio. A rendere nota la conversazione è il segretario nazionale di Confestetica, Roberto Papa, in una nota sul sito dell’associazione. E al Tirreno conferma quello che ha scritto sul web: «Il presidente del Tar dottor Antonino Savo Amodio è subito intervenuto ammonendo fermamente l’avvocato dello Stato, facendo notare che le sue affermazioni erano molto gravi e pesanti. Subito dopo l’avvocato ha ritirato tali gravissime affermazioni e il presidente del Tar ci ha rassicurati, dicendo che di ciò non terrà conto» nella udienza del 10 febbraio. Quando dovrà decidere se, davvero, i dpcm anti-Covid di novembre, dicembre e gennaio creano una discriminazione fra i centri estetici e i parrucchieri/barbieri che, in effetti, sono regolamentati da due leggi diverse. Per quanto, entrambi, prevedano un contatto diretto con la persona. Tanto che Confestetica si spinge a segnalare una «discriminazione di genere» nelle 22 pagine di memorie depositate il 26 gennaio dall’avvocato dello Stato Fabrizio Fedeli (sostituito da De Bonis nell’audizione del 22 gennaio) a difesa dei dpcm che prevedono la chiusura dei centri estetici nelle regioni ad alto rischio di contagio. A pagina 16 della memoria, infatti, si legge: «...La cura e il trattamento dei capelli e della barba da parte degli acconciatori corrisponde a un bisogno e a un’esigenza di cura, anche igienica, della persona ben più essenziale e irrinunciabile rispetto al miglioramento dell’aspetto estetico generale». Insomma, se ti fai la barba si contiene il virus, se ti fai la ceretta o il viso no. Come se il contatto con il corpo non fosse lo stesso. Almeno per farsi la ceretta non c’è l’obbligo di togliersi la mascherina. Ma forse questo è un dettaglio che sfugge.
Non sfugge, invece, a Roberto Papa l’offesa «avanzata dall’avvocato dello Stato ai centri estetici. Dire che nei centri estetici si esercita la prostituzione equivale a offendere 80mila persone che lavorano in modo onesto». L’avvocato De Bonis, però, in un primo momento smentisce al Tirreno di aver pronunciato quella frase. Poi aggiunge: «Non parlo della mia attività per conto dell’Avvocatura. Tanto meno riferisco di conversazioni avvenute in Camera di consiglio». Quindi smentisce? «Non confermo né smentisco. Non dico nulla. Non parlo di quello che si dice in un contesto che deve restare riservato». Ribatte Papa: «Per due giorni ho pensato e ripensato alle parole udite in audizione sull’accostamento fra centri estetici e prostituzione. Poi ho deciso di riferirle, soprattutto perché vengono dall’Avvocatura di Stato. Se l’avvocato ha il coraggio di smentirle, io sono in grado di provare quanto affermato. E lo farò in tutte le sedi a tutela non solo del diritto delle nostre associate di lavorare ma soprattutto della loro onorabilità».Indipendentemente dall’esito dell’udienza del 10 febbraio «fissata in modo da avere anche le valutazioni sulla ripresa delle attività di guide alpine e impianti sciistici».
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