Il responsabile del reparto è favorevole a una immunizzazione per tutti i pazienti affetti da questa patologia. «Fattori di rischio doppi rispetto agli altri contagiati: occorre fare di tutto per evitare che si ammalino»
LIVORNO. «Chi ha il diabete deve vaccinarsi contro il coronavirus». E’ categorico Graziano Di Cianni, primario del reparto di diabetologia dell’ospedale di Livorno. E, in attesa del via libera europeo alla campagna vaccinale che - se arriverà l’ok dell’Agenzia europea per i medicinali (Ema) - potrebbe già partire il prossimo 27 dicembre, spinge perché chi soffre di questa patologia si metta nell’ordine delle idee di vaccinarsi. «C’è poco da discutere. Qui non si tratta di fare discorsi ideologici su pro e contro di vaccini: ci sono dati reali e terribilmente concreti che dimostrano come i diabetici siano particolarmente a rischio di fronte al Covid. E chi è affetto da questa malattia non può permettersi di essere contagiato».
Dottor Di Cianni, quanto rischia un diabetico che contrae il virus?
«Guardi, i fattori di rischio di chi è affetto da questa patologia sono due volte maggiori rispetto ad una persona che non è diabetica. Le faccio un esempio molto concreto. Dei pazienti covid che sono ricoverati in terapia intensiva e dunque presentano le complicazioni più importanti, uno su tre è diabetico. E’ un dato che emerge sia dagli studi nazionali che da quelli che abbiamo a livello locale. Per questo dico a tutti i miei pazienti che devono assolutamente fare in modo di non essere contagiati. E, in prospettiva, di vaccinarsi. Quindi mascherine e distanziamento devono essere regole ferree per chiunque, ma più che mai per chi è diabetico».
Fra l’altro la popolazione che soffre di questa patologia non è affatto marginale.
«Il diabete è una malattia molto diffusa un po’ ovunque. Solo in provincia di Livorno i pazienti in cura sono ventiquattromila. Un numero molto alto. Al quale vanno poi aggiunti coloro che ne sono affetti ma non lo sanno. Inoltre c’è un altro aspetto da tenere in considerazione: chi è diabetico ha spesso una serie di altre patologie correlate che vanno dalle cardiopatie all’ipertensione. E che dunque aumentano i fattori di rischio. Non solo: fra le cure utilizzate in caso di contagio da coronavirus c’è il cortisone. E il cortisone ha effetti negativi sulla glicemia».
La correlazione fra diabete e coronavirus non è certo una novità. A proposito del vaccino, è prevista una corsia preferenziale per i pazienti in cura per questo tipo di patologia?
«Al momento non è ancora codificata. Da parte del ministero della Salute, le uniche priorità annunciate sono quelle legate al personale sanitario e agli ospiti delle residenze sanitarie assistite. Ma non c’è dubbio che fra la popolazione a cui dovrà essere somministrato il vaccino contro il coronavirus non potrà non esserci compresa anche quella formata dai diabetici».
Lei visita decine di pazienti ogni giorno. Come le sembra che abbiano accolto la notizia dell’arrivo imminente di un vaccino anticovid?
«In molti hanno detto che si vaccineranno. Ma comunque devo dire che ho registrato in troppi una scarsa informazione circa i rischi e le correlazioni che esistono fra diabete e Covid. Ma la cosa che mi preoccupa di più è che in alcuni di loro – una minoranza, ma non così residuale – ho registrato anche una vera e propria resistenza al vaccino e perfino una diffidenza nei confronti della pericolosità di questo virus. Un paziente, che per altro non era neppure uno sprovveduto né una persona con un basso livello di istruzione, mi chiedeva se in fondo non si era esagerato troppo con l’allarme pandemia. E purtroppo, nei discorsi che sento fare in giro, certi dubbi affiorano molto più di quanto non si pensi».
Ci avviciniamo alle feste di Natale. Cosa si sente di dire ai pazienti affetti da diabete?
«Che questo dovrà essere per forza un Natale molto diverso dai precedenti. Chi è diabetico deve necessariamente fare in modo da evitare in tutti i modi di essere contagiato. E questo significa evitare pranzi di Natale e cenoni di San Silvestro in compagnia con persone che non siano già conviventi. E’ opportuno ridurre al minimo qualsiasi rischio di infezione».
Si parla di una terza ondata nei prossimi mesi. Lei che idea si è fatto?
«Non sono un virologo e dunque non faccio previsioni di alcun genere. Tuttavia mi sento di poter dire che molto dipenderà da come affronteremo le prossime settimane e dai comportamenti che un po’ tutti riusciremo a tenere. Fra l’altro l’emergenza coronavirus è destinata ad incrociarsi con l’ondata influenzale. E questa non è certo una coincidenza che ci aiuterà».
Parliamo dei danni che il coronavirus ha già fatto in questi mesi. Ad esempio relegando altre patologie importanti, fra cui il diabete, in secondo piano.
«Fortunatamente è un fenomeno che, almeno per la diabetologia, si è verificato solo in parte. Non c’è dubbio che un po’ di ricaduta negativa l’esplosione del coronavirus l’ha portata. Però a partire da maggio e giugno abbiamo iniziato un piano di rientro che ci ha permesso di recuperare gran parte del tempo necessariamente perduto. Un po’ decentrando le visite, visto che per esempio due volte a settimana ci spostiamo anche a Salviano. Ma, soprattutto, abbiamo sopperito ai problemi legati al contagio con le visite a distanza. Fra l’altro è proprio di questi giorni uno studio dell’Azienda regionale di sanità della Toscana che conferma come – dal 1 marzo al 30 settembre - le televisite diabetologiche siano state di gran lunga le più numerose superando quota tredicimila e arrivando al ventidue per cento del totale. Questo ci ha permesso di eliminare quasi completamente gli arretrati».
Insomma, le tecnologie possono dare un grosso aiuto.
«Senza alcun dubbio. E, anzi, invito tutti a sfruttarne le potenzialità. Anche perché, evitando la presenza di pazienti fragili come i diabetici in ospedale, si riducono sensibilmente anche le occasioni di contagio. E questo deve essere il primo obiettivo da centrare. In questi mesi abbiamo visto arrivare in reparto pazienti con problemi di salute che in alcuni casi sono risultati positivi al coronavirus. Con le visite online tutto questo non potrebbe accadere. Mi rendo conto che spesso i diabetici sono anziani e quindi hanno difficoltà con le nuove tecnologie, ma la gran parte di loro ha un figlio o un nipote che può aiutarli a collegarsi da casa. Con un piccolo sforzo, possiamo ottenere grandi risultati». —
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