Qualche esempio e alcuni consigli da Annalisa Alberici, esperta di cucina locale «Per il 25 l’usanza impone il risotto (o i ravioli) e il cappone, magari ripieno»
Il giorno di Natale sulla tavola pavese? Ricco e ruspante, come vuole la tradizione. E allora qualche esempio e alcuni consigli arrivano direttamente da Annalisa Alberici, grande esperta di cucina locale e autrice di numerosi libri sull'argomento.
Innanzitutto come si arriva al gran pranzo di Natale? E' utile qualche accorgimento previo?
«Direi di sì. Innanzitutto la tradizione vuole che si cominci alla sera del 23 dicembre con la classica “cena delle sette cene” dell’antivigilia, tipicamente oltrepadana; pietanze “di magro” ma molto abbondanti, composte da sette portate, anche per affrontare il digiuno del giorno seguente. Perché la vigilia è appunto il giorno secondo consuetudine in cui non si mangia, proprio per prepararsi ad affrontare la grande abbuffata”.
E dunque veniamo al pranzo natalizio.
«Ovviamente è un grande tripudio di prelibatezze. Si comincia dagli antipasti, dove non possono mancare una selezione di salumi e i funghi che sono stati messi sott'olio da noi stessi. Come primi si possono ipotizzare due proposte: un bel risotto coi funghi secchi colti in estate e i ravioli di carne. Qua è importante la preparazione dello stufato, che deve essere effettuata accuratamente. Ricordo che mia madre addirittura lo faceva cuocere per una settimana intera! E rigorosamente il brodo in cui vengono fatti cuocere deve essere di cappone».
Presumibilmente dunque il cappone è il piatto forte tra i secondi.
«Certamente sì. Magari ripieno. E poi in genere si può affiancare una selezione di arrosti, a rendere ancora più completa la proposta».
Come ci si avvia alla conclusione?
«Con un bell'assaggio di gorgonzola o una scheggia di grana ben stagionato. E poi arance e mandarini a volontà, senza dimenticarsi delle noci e di un buon mix di frutta secca assortita. Sul dolce non si discute e si resta fedeli alla tradizione: il panettone classico e il torrone. Quest'ultimo può essere anche casalingo; una buona variazione può essere, al posto delle mandorle, quello preparato con le armelline, ossia i semi che si trovano nel nocciolo delle albicocche, e che devono essere conservate gelosamente dall'estate».
Un pranzo importante, dunque, da innaffiare con il vino giusto.
«La scelta deve andare su un rosso importante dell'Oltrepo: può essere un Bonarda stagionato, oppure anche un buon Barbera. E naturalmente con il dessert si passa a un Moscato».
Per digerire che cosa ci consiglia?
«Un caffè, possibilmente non d'orzo e un goccio di grappa dell'Oltrepo. E poi l'ideale è una bella passeggiata per smaltire».
E il giorno dopo ci si siede ancora a tavola o si programma un altro digiuno come la vigilia?
«Ci si siede ancora a tavola per il classico “ribattino di Santo Stefano” per riciclare gli avanzi di Natale, che non mancano mai, riutilizzandoli magari in maniera creativa, per evitare la monotonia. E poi si conclude con la “büsela”, una bambola fatta di pane dolce che la tradizione oltrepadana vuole si regali a Natale per essere conservata e consumata appunto il giorno successivo: è a forma di femmina con la gonna per le bambine e indossa invece i pantaloni per i maschietti. I bambini giocano un po' e poi la mangiano dividendola in bocconcini, appunto derivando il nome da “buccella”, termine latino». —
Daniela Scherrer