Davanti al gup il radiologo che secondo il pm sbagliò la diagnosi sulla 28enne Cristiana Capecchi, morta il 24 febbraio 2019
PISTOIA. Secondo la procura, era stato quell’errore a fare la differenza fra la vita e la morte. Il non aver diagnosticato l’embolia polmonare in atto, il non vederla nelle immagini di quell’angiotac che, sebbene non eseguita tecnicamente nel più corretto dei modi, non presentava particolari difficoltà di lettura. Ha chiesto il patteggiamento della pena il medico radiologo imputato di omicidio per la tragica fine di Cristiana Capecchi, la giovane morta nella serata del 24 febbraio dello scorso anno, stroncata dalla crisi respiratoria che l’aveva colpita dopo che, nell’arco dei dieci giorni precedenti, era stata per tre volte visitata al pronto soccorso di Pistoia e sempre rimandata a casa con una diagnosi di pleuropolmonite.
Fu Gian Piero Giannetti, 56 anni, romano ma domiciliato a Pistoia, ad eseguire l’angiotac il 14 febbraio 2019. Ieri mattina, davanti al giudice dell’udienza preliminare del tribunale, con il consenso del pm Giuseppe Grieco, titolare dell’inchiesta, ha chiesto di patteggiare un anno di reclusione attraverso il proprio difensore Elena Mucci. Il gup Luca Gaspari si è riservato la decisione: ha preso tempo fino a martedì prossimo per studiare il fascicolo e valutare se la pena concordata sia o meno congrua.
Nel frattempo ha però accolto la richiesta di costituzione di parte civile presentata da due cugine e da uno zio di Cristiana, rappresentati dall’avvocato Stefano Belli: anche se non conviventi, il rapporto con Cristiana (soprattutto le due ragazze, che per lei erano come sorelle) era talmente stretto da legittimare la richiesta di risarcimento .
Non si sono costituiti invece parti civili i genitori, la sorella e il nonno di Cristiana: grazie al lavoro svolto dai loro avvocati, Pamela Bonaiuti e Sara Mazzoncini, hanno già ottenuto dall’Asl un risarcimento di poco meno di un milione di euro.
Nella perizia effettuata su richiesta del pm, il consulente tecnico della procura Susanna Gamba non lascia spazio a dubbi: la morte della 28enne impiegata pistoiese sarebbe diretta conseguenza dell’errata diagnosi da parte del medico radiologo che il 14 febbraio, su richiesta della collega di turno al pronto soccorso, che ipotizzava, appunto, la presenza di un’embolia polmonare, aveva eseguito una angiotac con mezzo di contrasto. Nessuna colpa professionale sarebbe invece da addebitare agli altri tre medici inizialmente indagati, quelli di turno quando Cristiana si era presentata al pronto soccorso. Secondo la ct del pubblico ministero, la responsabilità sarebbe unicamente del radiologo. Non solo per aver escluso erroneamente la presenza di segni di embolia polmonare (risultati poi visibili in sede di perizia, durante l’esame delle immagini computerizzate), ma anche per aver eseguito in modo non corretto l’esame: iniettando una quantità eccessiva di liquido di contrasto e decidendo, di fronte ad un risultato non ottimale, di non ripeterlo.
Fatto sta che era stato in seguito alla sua diagnosi errata che sia la collega di turno quella sera che il collega che lo era il 18 febbraio successivo avevano stilato una diagnosi di pleuropolmonite, prescrivendo, come da protocollo, una terapia a base di antibiotici e cortisone. —