E' ormai diffusa la percezione che ciò che facciamo agli animali e alle piante si ripercuota su noi stessi. A essere divenuti oggetto di attenzione sono gli allevamenti intensivi e la distruzione degli habitat naturali che ci mettono a contatto con gli animali selvatici favorendo, com'è avvenuto con il coronavirus, il salto di specie di virus e batteri. La spinta a interventi legislativi che regolino il rapporto uomo-animale non poteva che partire proprio dalle specie domestiche. Una legge che sta per entrare in vigore in Germania impone ai proprietari di portare a spasso i propri cani almeno due volte al giorno e per almeno un'ora. Voluta dal ministro dell'Agricoltura Julia Klöckner, può è il primo passo verso un legislazione che sia davvero dalla parte degli animali.
In Italia, la nuova sensibilità verso le altre specie sta crescendo nella società civile. ll recente convegno organizzato dalla Lega nazionale per la difesa del cane (Lndc) dal titolo Diritti degli animali: le nuove frontiere per la loro tutela è solo l'ultimo dei molti eventi che hanno visto la partecipazione di migliaia di cittadini collegati in rete. Questi ultimi chiedevano una legislazione sugli animali capace non solo di punire le violenze, ma anche di impedire i cosiddetti «maltrattamenti etologici», quelli che impongono ambienti di vita insopportabili per una specie, tra questi gli allevamenti intensivi per la produzione di carne, le gabbie per animali da pelliccia, i canili lager, i laboratori di ricerca e i circhi. L'epidemia di Covid ha infatti riproposto il problema quando milioni di visoni allevati in gabbie, a partire dalla Danimarca, hanno sviluppato e trasmesso mutazioni del virus.
In Italia, il ministro della Salute Roberto Speranza ha appena firmato un'ordinanza per la sospensione dell'attività di questi allevamenti. Michele Pezone, avvocato e responsabile nazionale diritti animali di Lndc, dice che c'è urgente bisogno di modificare il quadro legislativo per i reati a danno degli animali: «Nel caso di violenze o di mancato soccorso nessuno sconta nemmeno un giorno di prigione, e anzi spesso il colpevole non finisce nemmeno sul banco degli imputati». Alcuni esempi chiariscono il concetto. Alcuni mesi fa, un pastore sardo legò il suo cane all'auto e lo trascinò per strada come punizione per aver sbranato una pecora, provocandone la morte per le ferite. «Anche se una volante dei carabinieri lo bloccò in flagranza di reato» racconta Pezone «la vicenda giudiziaria si concluse con una semplice "messa in prova": di fatto, il pastore evitò il processo andando a fare fotocopie per qualche giorno in un ufficio comunale di fronte casa sua. Infatti, la legge 189 del 2004 prevede pene detentive troppo basse: gli imputati alla prima udienza possono scegliere di andare a lavorare in enti pubblici evitando il processo e mantenendo pure la fedina penale pulita».
C'è poi un altro caso emblematico riguardante l'omissione di soccorso: una sera un cane rimase fuori dal cancello di una villa del Centro Italia senza che i suoi proprietari se ne accorgessero; fu trovato agonizzante la mattina successiva dopo un investimento avvenuto molte ore prima. Tempo dopo una persona si presentò dai proprietari chiedendo il risarcimento per la propria auto danneggiata dall'incidente con il cane.
Anche se Pezone, che seguì il caso, riuscì a dimostrare il mancato soccorso, restava il fatto che non soccorrere gli animali coinvolti in un incidente non costituisce reato, ma solo un illecito amministrativo punito con l'articolo 189 comma 9 bis del codice della strada. Insomma, male che vada, chi non soccorre un cane agonizzante se la può cavare con una sanzione dai 413 ai 1.658 euro.
Prendiamo ora il caso di un veterinario che commetta gravi errori determinando la morte di un animale. Bene, il fatto non costituisce reato e il colpevole al massimo dovrà attivare la propria polizza assicurativa per risarcire il danno. E che dire del caso, fin troppo frequente, di un cane legato a vita a una catena e costretto a vivere in solitudine? Pezone spiega che solo recentemente sono state approvate alcune leggi regionali che vietano questa pratica. Come dire che in certe zone d'Italia è consentita. Bisogna notare che quando un cane è tenuto alla catena è costretto a fare i bisogni dove si accuccia, una circostanza difficile da sopportare perché in contrasto con il comportamento di specie. La selezione naturale ha premiato questo tipo di «ethos» non a caso: stare lontano dai propri bisogni significa stare alla larga da batteri e virus.
E qui arriviamo dritti al problema degli animali tenuti in condizioni di sofferenza. Per punire la detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura ci si può appellare solo a un'elaborazione giurisprudenziale dell'articolo 727 del codice penale che prevede un'ammenda da mille a 10 mila euro. Ma nella maggior parte dei casi nessuno può essere condannato perché esiste una clausola di esclusione per varie attività tra cui quelle commerciali, e non solo alimentari. Anzi, «si potrebbe dire che da una parte la legge nega di fare qualcosa e dall'altra lo permette: se in generale il maltrattamento etologico è vietato, dall'altro è ammesso per una serie di ragioni economiche». Il fatto nuovo è che l'umanità si sta rendendo conto che questi maltrattamenti finiscono per minare alla base la sua stessa sopravvivenza.
Che fare dunque? Diversi studiosi del problema hanno suggerito di riconsiderare i diritti degli animali partendo dal presupposto che non esiste alcuna distinzione netta tra noi e loro per quanto riguarda la capacità di soffrire. «Se ripensassimo la legislazione partendo dal fatto che l'uomo rientra nel regno degli animali, come suggerisce la teoria dell'evoluzione, e che tutti gli animali hanno gli stessi diritti alla vita, allora i principi giuridici più elementari, come il diritto alla vita e alla non sofferenza, sarebbero gli stessi per noi e per loro. A quel punto sarebbe inammissibile non punire severamente l'omissione di soccorso o l'abbandono di un animale alla catena».
Tom Regan, un filosofo dei diritti degli animali, ha notato che se diamo valore alla vita di un essere umano a prescindere del grado di razionalità che manifesta nel suo comportamento, allora dovremmo dare un simile valore anche a un animale «non umano». E qui non si tratta tanto di filosofia, piuttosto di una necessaria declinazione della nostra umanità.
Resta il fatto che più delle leggi può il grado di civiltà dei singoli. Per combattere il caso dei canili lager, basterebbe cambiare le nostre scelte: anziché spendere migliaia di euro per un cane di razza alla moda si potrebbe regalare qualche anno di vita felice a un cane che ha sofferto per tutta la sua esistenza.