Capienza ridotta per il Covid da 200 posti a 40. Angela, la titolare: «Così costi insostenibili, costretti a lasciare»
Chiude oggi, dopo aver lottato strenuamente per sopravvivere alle misure anti-contagio, il Dagda Live Club di Retorbido, unico locale della provincia ad aver dato da sempre ampio spazio alla scena metal e hard rock internazionale. Uno stop dopo sei anni di attività, una media di quattro concerti al mese e un pubblico affezionato che arrivava da ogni parte d’Italia pur di assistere a date altrimenti introvabili nel nostro Paese.
Pur essendo solo un circolo culturale, è stato gestito da subito con entusiasmo e professionalità da un gruppo di volontari guidato da Angela Campagnoli, riuscendo in breve tempo ad ospitare sul suo palco gruppi provenienti da ogni parte del mondo e diventando di fatto un punto di riferimento: «L’ultimo concerto – dice Campagnoli – è stato quello degli australiani Rumjacks, il 10 ottobre. Speravamo di poter andare avanti pur tra mille difficoltà, ma gli ultimi sviluppi normativi ci rendono di fatto impossibile proseguire con una programmazione di qualità».
Costi insostenibili
La sala concerti, che in tempi migliori ospitava oltre duecento persone in piedi, dal dopo lockdown ha dovuto ridurre la capienza a settanta sedie distanziate, che sono diventate quaranta con l’inserimento dei tavoli: «Come tutti sappiamo – continua Campagnoli – è proibito consumare cibi e bevande se non al proprio tavolo, così nelle ultime due date abbiamo provato anche questa via. In occasione dell’ultimo concerto, però, su quaranta prenotati hanno dovuto disdire (causa Covid accertato o presunto) una quindicina di persone. Capite bene che in una situazione di tale incertezza tenere aperto con costi fissi sulle spalle diventa impossibile. Non ci sono sufficienti guadagni per coprire le spese degli artisti e del locale stesso. Purtroppo non ci rimane alternativa se non quella di chiudere per sempre».
La solidarietà dei fan
Quando l’annuncio della chiusura è stato postato sui social, sono state tantissime le testimonianze di affetto per il locale sia da parte dei musicisti che da parte del pubblico, e i gestori si sono commossi di fronte a tanta solidarietà: «Vi garantisco che per noi dire addio a questo progetto – dice ancora Campagnoli – è poco meno di un lutto. In sei anni siamo partiti da zero, costruendo a poco a poco una rete di contatti che si è ramificata in ogni angolo del pianeta. Dalla Cina, dal nord Europa, dal Canada, da Israele: non si contano le nazioni diverse che si sono incontrate in questo locale, così come non si misurano l’umanità e l’amicizia che abbiamo riscontrato nei musicisti e nel pubblico. Anche quest’ultimo, infatti, merita una menzione d’onore: essendo il nostro un genere di nicchia e avendo sempre privilegiato gli artisti che propongono musica originale non abbiamo mai avuto una platea locale, per lo più si è trattato sempre di persone provenienti dalle province e dalle regioni vicine, e a volte (per i concerti più importanti) anche da molto più lontano. A loro va il nostro ringraziamento per averci sempre sostenuti».
La decisione di chiudere è definitiva, ma non è stata presa a cuor leggero: «Dopo il lockdown – conclude Angela – avevamo provato a ripartire con format più contenuti, con il distanziamento necessario, disposti a modificare temporaneamente la nostra proposta artistica pur di continuare a suonare. La stretta attuale però non ci consente più di farlo, e dobbiamo per forza arrenderci. Però chissà, sono fedele al detto “mai dire mai”: magari, quando torneremo alla normalità, potremo cominciare una nuova avventura».—
Serena Simula