Sono passati vent’anni da Dancer in the Dark, l’anti-musical pugno nello stomaco che Lars von Trier ci ha rifilato senza mostrare alcuna pietà, la disperata storia di Selma e del figlio che nel 2000 gli ha fatto vincere la Palma d’Oro. 

Inizialmente, von Trier aveva chiesto a Björk di occuparsi soltanto della colonna sonora, ma poi ha scelto di affidare alla cantante e compositrice islandese anche il ruolo di protagonista (premiata poi a Cannes come migliore attrice). 

«Quando lavoravo in fabbrica, sognavo di essere in un musical, perché in un musical non succede mai nulla di terribile», dice Björk (Selma) nel film, mentre il sadico von Trier ribalta completamente gli standard hollywoodiani del genere, sostituendo a sorrisi e lustrini, lacrime e nero assoluto. Anche la scelta del titolo non è solo una questione di tonalità: Dancing in the Dark è un brano, scritto da Arthur Schwartz e Howard Dietz, per Spettacolo di varietà, il musical del 1931 con Fred Astaire.

In tutta questa oscurità, le note sembrano offrire a Selma qualche temporanea scappatoia dal dolore. «Ne vado molto fiera», ha detto Björk all’epoca, a proposito del suo lavoro sulla colonna sonora, «Sarà che ho fatto tre album solisti di fila, una cosa piuttosto narcisistica e l’idea di doppiare la musica e lavorare con Lars, avendo a che fare con lo sguardo di qualcun altro, mi allettava molto. Mi è piaciuta la sfida. Le persone che completano la visione altrui sono sottovalutate, ma credo si tratti di un lavoro più difficile».

«My Favorite things», risate amare

Il film apre con una sessione di prove teatrali in cui Selma canta la celeberrima My Favorite Things. Il brano, opera della premiata ditta Rodgers & Hammerstein (1959), a dispetto dell'interpretazione iper sorridente che ne fa Julie Andrews in Tutti insieme appassionatamente (1965), non è così allegro: è scritto in chiave minore e soltanto sul finale c'è la svolta armonica in maggiore, proprio nel punto in cui il testo di Hammerstein recita «I think of a few of my favorite things, and then I don't feel so bad"»("Penso alle cose che amo di più e torna il seren per me», nella versione italiana del film con la Andrews). Mentre scriveva questa sorta di antidepressivo musicale, Hammerstein sapeva di essere malato di cancro. Se ne andò il 23 agosto del 1960, nove mesi dopo la prima teatrale di The Sound of Music, non fece in tempo a vedere il film e non ascoltò mai la straordinaria rilettura di Coltrane. Von Trier sfrutta questa canzone agrodolce in più di una scena, fino a quando, per non cedere del tutto alla disperazione, Selma la canta tra le lacrime.

«Cvalda» e la musica ovunque

«Mi piaci di più quando balli. Dovresti ballare più spesso», dice Selma alla sua amica Kathy (Catherine Deneuve), che chiama Cvalda, durante il turno di notte in fabbrica. «Ballerò quando ci sarà musica», risponde lei. Ma la musica Selma la sente ovunque, anche tra i rumori delle macchine, che diventano suoni: «Clatter, crash, clack! Racket, bang, thump! Rattle, clang, crack, thud, whack, bam! È musica! Adesso danza!». 

Un espediente che a posteriori von Trier ha confessato di non aver molto apprezzato però: «Questa idea che lei abbia questa fantasia e l’abilità di sentire musica nella quotidianità e nella vita di tutti i giorni, mi piace, ma non sono molto orgoglioso del fatto che non abbiamo avuto il coraggio di andare fino in fondo e di fare un musical più pulito in questo senso, quello in cui i protagonisti iniziano a cantare senza alcun  motivo evidente. Ci proverò la prossima volta».

«I've Seen It All» e la voce di Thom Yorke

Anche il brano più intenso e commovente del film, che è valso a Björk una nomination per la Miglior canzone originale, nasce da rumori esterni, in questo caso quelli del treno sui binari. 
Nel film, Selma duetta con Jeff (Peter Stormare), ma nella versione incisa per la colonna sonora, Selmasongs, la voce maschile è quella di Thom Yorke dei Radiohead. «È stata una mia idea lavorare con Thom», ha raccontato Björk, «Ci conosciamo da un po' e siamo sempre stati sul punto di fare qualcosa insieme, aspettavamo solo l’occasione giusta. Ero davvero entusiasta di questo pezzo e ho pensato meritasse la sua voce, che è anche la voce maschile che preferisco. Abbiamo passato quattro giorni in Spagna, cantando come e quando ne avevamo voglia. Non è uno che fa le cose con leggerezza».

«I musical, perlomeno quelli che ho visto da bambino, non erano mai davvero pericolosi», ha spiegato Lars von Trier, «Non mi hanno mai fatto piangere. In qualche modo, mi viene da paragonarli alle operette, che tendenzialmente sono piuttosto leggere. In Dancer in the Dark ho voluto fare qualcosa di diverso, ho cercato di mettere più melodramma, volevo fosse un musical più serio». 

Un dramma che Björk ha saputo tradurre in canzoni: «Selma prova molto più dolore di quanto abbia mai provato io. Ho avuto una vita molto fortunata. Molte di queste canzoni provengono da un luogo doloroso, ma non è il mio luogo, non è il mio dolore».