Peter Madsen è nato il 12 gennaio del 1971. A sei anni vede i genitori divorziare; i fratelli restano con la madre, lui va a vivere con il padre, Carl, proprietario di un pub. È un padre autoritario e violento che massacra di botte gli altri figli quando li vede, ma per lui ha una predilezione. Gli tramanda la passione per i razzi e Peter gli va dietro con gioia. A otto anni mostra alla madre il disegno di un razzo Saturn V e le domanda di spiegarle come funzionano i razzi multistadio.
Da adolescente si arruola nel Danish Amateur Rocket Club; fa esperimenti con carburante liquido, fuochi d’artificio e polvere da sparo. Una volta incendia una palazzina a Vanlose, un’altra volta scatena un incendio in un autobus quasi immolandosi, poi fa esperimenti missilistici che piovono sulla città di Hong. Lo espellono dal club, ma lui non si perde d’animo.
Si iscrive alla facoltà d’ingegneria e la abbandona non appena è sicuro di aver imparato abbastanza da poter costruire razzi e sottomarini. Apre un crowdfunding in rete dove fa il personaggione, è simpatico e sognatore. Contatta Kristian von Bengtson, un collaboratore della NASA che aveva aperto la Copenhagen Suborbitals allo scopo di mandare uomini nello spazio. Kristian se lo tira a bordo come ragazzo di bottega, ma Peter non ha tanta voglia di fare gavetta; lui ha alle spalle il web e le sue donazioni, così convince Kristian a seguirlo e fondano, dall’altra parte della strada, la Peter Madsens Rumlaboratorium ApS.
Progetta una telecamera sperimentale da montare su caccia militari, un cannone per l’architetto Bjarke Ingels, collabora con una coproduzione australiana a cui promette di fornire un motore capace di portare un razzo da nove tonnellate fino alla velocità di 1800 chilometri orari. È ormai considerato l’Elon Musk europeo, e la Danimarca lo adora. Lancia un crowdfunding per costruire un sottomarino a propulsione elettrica e diesel, l’UC-3 Nautilus, con cui sogna di fare il giro del mondo.
Sarà lungo 17,8 metri, peserà 40 tonnellate e potrà trasportare otto persone.
Fa sul serio; ormai la gente sgomita per potergli stare vicino e lavorare gratis per lui. Nel 2004 riceve da un finanziatore online 25,000 corone per finire di costruire il Nautilus entro tre mesi. Alla scadenza, non essendoci riuscito, Peter si offre di restituirli, ma il finanziatore non li accetta e lo porta in tribunale. Nel 2008 Peter perde la causa e deve risarcire il finanziatore con una penale di 800,000 corone. Siccome non li ha, qualsiasi introito futuro gli verrà pignorato e consegnato all’ex finanziatore fino all’estinzione del debito.
Peter devia i soldi che riceve alla società, e per il resto vive una vita morigerata assieme a sua moglie Sirid su una casetta galleggiante. Lei vive facendo documentari in zone di guerra. Nel 2009 un regista fa un documentario su di lui, My private submarine. Poco dopo esce addirittura una biografia su Madsen. È all’apice del trionfo. Divorzia con la moglie e per sei anni nel suo laboratorio lavorano senza stipendio 50 persone tra ingegneri e tecnici volontari.
Il soldi del crowdfunding gli permettono di spassarsela con escort di lusso, feste fetish e amanti sparse. Nel 2014 Madsen litiga con il vecchio socio e fonda la Rocket Madsen Space lab, tirandosi dietro gli scienziati e i tecnici che lavorano al sottomarino giorno e notte: se riuscisse a fare il giro del mondo su un sottomarino privato, parecchie emittenti televisive verserebbero bei soldi.
Nel 2015 litiga anche con i lavoratori volontari perché non riescono a costruire un sottomarino e un razzo interstellare contemporaneamente. Li sostituisce quasi tutti; quando i media gli domandano una data in cui riuscirà ad andare nello spazio, lui si infastidisce: «Perché è sempre un uomo bianco a dover andare nello spazio? Perché non può essere una donna? Ce ne sono, che lo vogliono.»
Nel 2016 esce un altro documentario, Amateurs in space, il Nautilus è finalmente completo e Peter appare su giornali e riviste quasi ogni giorno, rilasciando dichiarazioni perfette per il personaggio pazzo, geniale e ribelle. Un suo collaboratore racconta che se Madsen viene contraddetto o sente una frase che non gli piace, si comporta “come un bambino che ha appena perso il giocattolo” e fa volare martelli, cacciaviti e oggettistica varia. Un giornalista gli chiede se è un po’ pazzo, lui risponde:
«Forse non sono io che sono pazzo, ma il resto del mondo seduto nella propria casa in periferia davanti alla televisione».
Fa sparate tipo «Non è solo lo spazio, l’obiettivo. È il modo di vivere, è tutto, per me non ci sono limiti a ciò che si può o non si può fare. Morirò di risate piuttosto che di noia. Se uno vuole andare nello spazio, deve poterlo fare». Come si vede da vecchio? Sogna un’uscita in grande stile, tipo criminale internazionale:
«Non voglio rapinare una banca. Non deve farsi male a nessuno. Ma sogno di costruire un gigantesco pallone a idrogeno e sorvolare Copenhagen mentre un oceano di auto della polizia m’insegue laggiù. Poi atterrerò tra le due guglie della cattedrale di Roskilde. Non so se andrà così, ma vorrei fosse un happening di dimensioni gigantesche».
Uno scienziato relativamente giovane, un talentuoso dropout che profuma di Steve Jobs, sogna di girare il mondo alla Walter Mitty, parla di inclusività e riesce a realizzare i suoi sogni grazie alle donazioni online: è insomma il sogno bagnato dei giornalhipster alla Vice, che scoprono la sua esistenza nel 2017 e se ne innamorano.
Kim Wall ha 30 anni ed è una giornalista freelance appassionata di questo tipo di storie; la vita in un centro commerciale nella Chinatown di Kampala, i provider Internet clandestini di Cuba che scaricano e diffondono Keeping up with the Kardashian, interviste a donne ricche che votano per Donald Trump. Kim fa di tutto per intervistare l’Elon Musk danese; non è chiaro a chi voglia vendere l’articolo, forse a Wired, nel qual caso guadagnerebbe dai 70 ai 150 euro.
Il 9 agosto 2017 una ex amante di Madsen, Camilla Ledegaard Svendsen, scambia messaggi con lui. È impegnata a finire un video artistico e non trova la voglia di finirlo o l’ispirazione, così gli chiede di motivarla con una minaccia. Lui all’inizio la butta sul sessuale, poi le dice di avere un piano per assassinarla all’interno del suo sottomarino con un amico; prima l’avrebbero fatta entrare mostrandosi cortesi, poi l’avrebbero stuprata e fatta a pezzi. Lei ci ride su, conoscendo l’umorismo di Peter e la sua adorazione per i film sul terzo Reich; risponde di non essere molto impressionata. Dopotutto, Peter aveva già spiegato al suo amico Steen Lorck che sognava di compiere “il delitto perfetto”.
Il 10 agosto 2017, Kim Wall è a Copenhagen per trovare la propria famiglia con il fidanzato, quando il pomeriggio dell’ultimo giorno riceve una mail da Peter Madsen in persona: le offre di salire a bordo del sommergibile quella sera stessa e di navigare tutta la notte sott’acqua fino al mattino dopo. Potrà fare tutte le foto che vorrà. Kim non ci pensa due volte, saluta il fidanzato e raggiunge Madsen al porto, poi salpa alle 19. L’ultimo messaggio che manda al fidanzato è «Stai tranquillo, sono ancora viva. Adesso dobbiamo immergerci, lui mi ha offerto caffè e biscotti».
Il sottomarino viene visto a mezzanotte al largo dell’isola di Rafshoenen, poi viene visto e fotografato venerdì alle 10,30 da dei turisti su un faro.
Alle 11 di mattina due pescatori lo tirano su mentre nuota, e lui si dice dispiaciuto dell’affondamento del Nautilus, avvenuto per un guasto ai serbatoi d’aria. La polizia invece ha un sacco di domande: dov’è la giornalista? Peter dice di averla lasciata sull’isola, poi che è morta per avere sbattuto la testa e di averla seppellita in mare, poi che è rimasta intossicata dal monossido di carbonio.
Ha i polmoni perforati per farci entrare acqua e la vagina ha 15 pugnalate dentro e fuori. Il resto viene trovato alla spicciolata; un braccio qui, una gamba là, fino alla testa. Tutti avvolti in sacchetti contenenti metallo. Peter spiega che ha dovuto smembrarla perché non riusciva a farla passare intera dal sottomarino. Fatta l’autopsia, il referto lo contraddice: Kim è stata stuprata, torturata, pugnalata, strangolata e smembrata con una sega elettrica, ma non è chiaro in che ordine.
Viene indagato quindi per pressoché tutti i reati possibili, finché l’amante si presenta con le chat, i sommozzatori della Marina trovano la sega vicino a dove avevano trovato gli arti e nel suo laboratorio reperiscono un hard disk con video di donne torturate, decapitate e bruciate vive, che secondo il procuratore Jakob Buch-Jepsen sono autentici.
Gli danno l’ergastolo, ma siccome i carcerati sono una specie di categoria Youporn – tanto che è stato coniato il termine ibristofilia – Peter riceve migliaia di lettere di ammiratrici al giorno, e finisce per sposarsi con una di queste, l’artista russa Jenny Curpen. Qualche giorno fa è evaso millantando di avere addosso una bomba e una pistola, ma l’hanno riacciuffato.
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