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Un’udienza a tratti quasi surreale, in aula bunker, per l’ennesimo appuntamento con il processo fiume al “Clan dei casalesi di Eraclea”. È il giorno - tra l’altro - dell’interrogatorio di Giacomo Fabozzi, nipote di Luciano Donadio, accusato di aver fatto di guardiaspalla dello zio nella riscossione crediti e usura. Lui nega. Parla velocissimo, rispondendo a raffica in un napoletano talvolta stretto alle domande dei pm Terzo e Baccaglini e delle difese. Più volte gli viene chiesto di ripetere, tanto che a un certo punto l’avvocato Rodolfo Marigonda, allarga le braccia sorridendo: «Sembra di stare in un film di Massimo Troisi!».
Fabozzi dice di essere arrivato ad Eraclea nei primi anni 2000 per lavorare nella ditta edile di Donadio, raccontando che dopo l’arresto dello zio per usura (nel 2006) le cose non andavano più molto bene, il lavoro non arrivava e così avevano aperto un’impresa di pulizie. Incalzato dalle domande, tra i tanti episodi di questa maxi-inchiesta, c’è anche quello del tentativo (fallito) di recuperare i milioni di euro che il faccendiere Samuele Faè aveva affidato al broker Fabio Gaiatto, all’epoca già in odor di bancarotta. Luciano Donadio si era offerto di occuparsi del “recupero crediti”. Cosa voleva in cambio, chiedono i pm? «Faè disse che gli avrebbe regalato un capannone, mio zio ne voleva comprare uno da 170-180 mila euro».
Se non fosse che sulle tracce di Gaiatto ci sono anche i casalesi della famiglia Iovane che un giorno, del tutto inaspettati, si presentano al punto Snai di Adriano Donadio, luogo di ritrovo del clan. Reclamano i loro soldi, vogliono per primi i 10 milioni di euro che loro hanno affidato a Gaiatto. Donadio non ne sa nulla, ma si propone di occuparsene. Le premesse non sono buone: «Erano tre, uno di loro diceva che 10 milioni erano loro. Io sono il nipote di Salvatore Iovane, ha detto. Mio zio dice che potevo parlarci con Salvatore, che conosco da una vita». Immaginare la scena - seguendo il racconto d Fabozzi - è davvero surreale: «Dicono siamo casalesi. Mio zio dice, pure io sono casalese. Gli altri dicono, siamo noi i casalesi». Un marcare il terreno.
I campani sanno dei soldi che Donadio-Faè vogliono da Gaiatto, ma vogliono essere pagati per primi. I toni sono minacciosi: «Siamo venuti qua, se non era perché sei amico di Salvatore....i 10 milioni sono nostri». Tant’è, racconta Fabozzi, Donadio «si è preso la briga di parlare con Iovane. Siamo andati a Ostia ad incontrarlo. Dice: “Ciao Luciano di cosa ti serve?”». C’è l’accordo per dividersi a metà i soldi che riusciranno a recuperare da Gaiatto, ma alla fine non andrà così: è lo stesso broker a dire di aver pagato i casalesi-casalesi. Donadio si arrabbia, ma il recupero era sfumato. —
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