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Cinquantasette anni fa la tragedia del Vajont: un cataclisma che in 4 minuti causò 1.917 morti

Cinquantasette anni fa la tragedia del Vajont: un cataclisma che in 4 minuti causò 1.917 morti

Il 9 ottobre 1963 una frana si staccò dal monte Toc e finì nelle acque del bacino della diga. Ignorati tutti gli allarmi

VAJONT. L’ultimo consiglio comunale di Erto e Casso, prima della tragedia, si tenne il primo settembre 1963. Il sindaco di allora era Giovanni De Damiani, fabbricante di candele, ex seminarista, fornitore ufficiale di ceri per tutta la Diocesi.

In quella seduta fu assunta una sola deliberazione: la sistemazione della strada comunale di Cerois e poi tutti se ne tornarono a casa come se non ci fosse stato nulla da dire sullo stato di allarme in cui vivevano gli abitanti di Erto, Casso e delle frazioni a causa del lago e di una frana incombente.

Suite for Vajont, il ricordo della tragedia del 9 ottobre con la musica di Remo Anzovino foto da Quotidiani localiQuotidiani locali

Due giorni prima della tragedia De Damiani, su sollecitazione dell’Enel-Sade, aveva fatto affiggere un manifesto intitolato “Avviso di pericolo continuato” in cui si segnalava “l’instabilità delle falde del monte Toc “raccomandando di approfittare degli automezzi messi a disposizione per fare trasloco “dalla zona che va dal Gorc oltre Pineda e presso la diga” portandosi appresso anche gli animali.



Qualche riga dopo si poteva anche leggere “la frana del Toc potrebbe sollevare onde paurose su tutto il lago”. Si raccomandava a boscaioli, cacciatori e pescatori di non avvicinarsi alla zona franosa e alle rive del lago perché in caso di disobbedienza “Enel-Sade e autorità tutte non si ritengono responsabili per eventuali incidenti...”.



Il giorno dopo è quello della tragedia. È un mercoledì di sole, una giornata tiepida. Per me, che abitavo a Pordenone e frequentavo il liceo, una giornata come le altre della quale ho però ancora oggi un vivo ricordo per aver accettato di accompagnare un compagno di liceo proprio a Erto dovendo, lui, sbrigare alcune faccende di caccia con una persona che gestiva un’osteria proprio nelle vicinanze della diga lungo la strada che da Erto scendeva verso Longarone.



Ero quindi lì, nel posto giusto, ma soltanto qualche ora prima del “momento giusto”. Ricordo che chiesi se non avessero paura delle chiacchiere che si sentivano. Mi rispose che, se ci fosse stato pericolo la Sade li avrebbe di sicuro avvertiti.

Difatti, furono avvertiti talmente bene che finirono tutti sotto la frana, osteria compresa e non furono mai ritrovati.



È stato calcolato che il cataclisma durò non più di 4 minuti e la morte corse rapida lungo le rive del lago e poi nel cantiere dell’Enel-Sade uccidendo 220 persone (60 erano operai dell’azienda elettrica). Dei 158 morti del Comune di Erto ne furono trovati soltanto 17 e tutti i superstiti furono allontanati e trasferiti nella colonia pontificia della Poa (all’inizio del passo di Sant’Osvaldo), a Cimolais e a Claut. Complessivamente i morti furono 1917.

Uno solo rimase la notte tra il 9 ed il 10 ottobre nella sua casa sulla riva sinistra del lago, salvo per miracolo e ritrovato il giorno dopo dal figlio. Il suo nome era Osvaldo Corona ed aveva 87 anni.

Con l’allontanamento degli abitanti cominciò la dispersione della Comunità ertana allora formata da 1931 persone (emigranti compresi).

Ciò che accadde quella notte sul versante friulano fu bellamente ignorato a livello nazionale dato che tutti i media parlavano di Longarone. Soltanto nel Telegiornale Rai della sera del 15 ottobre veniva citato anche il Comune di Erto e Casso.

La storia della frantumazione della comunità ertana l’ho scritta in un libro: “Vajont il giorno dopo” ed è una storia lunga e travagliata che si concluse il 28 dicembre 1966 sotto una pioggia battente in località Luogo del Giulio dove fu posta la prima pietra ricavata da un blocco di marmo rosso dell’antica cava del monte Buscada, in val Zemola sopra Erto.

Fu inserita, con pergamena, nelle fondamenta dell’abitazione di Orazio Della Putta, designato per sorteggio, tra i futuri residenti della “Nuova Erto” oggi Vajont, realizzata su un quadrato di terreno di un chilometro donato dal Comune di Maniago.

La dispersione fu decisa in un referendum tenutosi tra l’11 ed il 25 aprile 1964 e gestito dal segretario comunale che riceveva la scheda firmata e la autenticava prima di inserirla nell’urna. Nulla di strano perché una persona sceglieva dove andare e poi in effetti ci sarebbe andata. Il segreto del voto non aveva quindi senso.

Ma ce l’aveva la semplicità della scelta che madama burocrazia complicò in maniera davvero ridicola. C’erano tre scelte possibili: Maniago, San Quirino, Codissago. Sarebbe bastato segnare una delle tre per scegliere. Invece no, bisognava cancellare le due che non interessavano.

Il 57% degli aventi diritto però non votò perché tra le scelte non c’era Erto e neppure l’opzione “altro”; il 43% scelse in grande numero Maniago.

Del dopo Vajont ci sarebbe molto da dire su di un Consorzio tra i comuni interessati ai benefici monetari e che non c’entravano nulla con la Valcellina e su un buon numero di “avvoltoi” in giacca e cravatta che si aggirarono in cerca di licenze commerciali da acquistare dagli sfollati per poche lire e poi usare anche fuori regione con gli annessi benefici.

Una storia lunga e brutta con strascichi giudiziari che fecero poca luce sul buio fitto dei soprusi e degli imbrogli. –


 

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