Sotto il suo stetoscopio son passate ben tre generazioni della Piana. «Sono orgogliosa dei miei 40 anni di lavoro»
LUCCA. Va in pensione la dottoressa Rina “Alberta” Romani, 70 anni, da quasi quaranta pediatra ad Altopascio. Sotto il suo stetoscopio sono passate ben tre generazioni di residenti tra Capannori, Montecarlo e appunto la cittadina del Tau: quelli che una volta erano piccoli pazienti, adesso sono gli adulti che accompagnano figli e nipoti alla visita dalla sempiterna dottoressa. Originaria di Viareggio, Romani oggi appende il camice al chiodo per raggiunti limiti di età (le subentra con incarico provvisorio la dottoressa Alessia Romei, che continuerà a visitare all’ambulatorio papa Giovanni Paolo II presso la Rsa "Il sole" ad Altopascio e in automatico prende tutti i suoi assistiti).
In ambulatorio la comunicazione del pensionamento l’ha data lei stessa, scrivendo un messaggio sulla lavagnetta di Peppa Pig, poi lo ha ripubblicato su Facebook dove è stata sommersa dai commenti delle mamme e non solo visto che in quasi quattro decenni di attività ha avuto migliaia di pazienti (solo adesso i suoi assistiti sono 1.050!). Ora che è giunta al termine di questo lungo percorso, se prova a guardarsi indietro le viene da sorridere: «Ho iniziato la professione nel 1982 – racconta –. Sono sempre stata ad Altopascio, perché qui viveva e lavorava mio marito, che aveva un distributore di benzina. La figura del pediatra di famiglia era stata introdotta da poco e all’inizio non c’era particolare considerazione nei nostri confronti: le famiglie erano abituate ad andare dal medico privato, scelto da loro. C’è voluto un po’ per far digerire la figura di questo medico che si interessa globalmente della salute del bambino. Poco alla volta ce l’abbiamo fatta e il rapporto è andato sempre in crescendo. Ora con “i miei” bambini e le loro famiglie ho un rapporto solidissimo». Lo confermano le manifestazioni di affetto che la dottoressa Romani ha ricevuto in questi giorni: «Un'infinità di messaggi, regali e feste a sorpresa che non mi sarei mai aspettata – dice–. Le cose che più mi hanno commosso sono quelle che arrivano dai bambini: l’orologio della vita con i loro pensierini, oppure la raccolta di palloncini con tutti i loro disegni. Sono stata sommersa da una valanga di affetto che, lo confesso, mi ha fatto piangere e devo ancora riprendermi. Rimpianti? No. Sono orgogliosa di aver fatto questo lavoro, non me ne sono mai pentita. Fu il professor Bani, ai tempi in cui ero studentessa, a indirizzarmi verso il mestiere. L’ospedale non faceva per me. E poi la figura del pediatra di famiglia è cresciuta col tempo e sono contenta di aver fatto parte di questo percorso. Certo, i momenti faticosi e difficili in quarant’anni non sono mancati: quando scopri che un tuo piccolo paziente ha una malattia grave è impossibile non soffrirne. Ma nel complesso ne ho ricavato delle soddisfazioni enormi a livello umano. Molte mamme mi ringraziano, citandomi aneddoti sulle mie visite a casa fatte di domenica e o alle tre di notte per dare un’occhiata a un bambino malato. Sono episodi che a volte non ricordo neppure perché per me non c’era niente di eccezionale: agire così era normale».
Tra i momenti difficili c’è anche quello attuale legato al Covid. «Da quando è ripartita la scuola siamo in una situazione complicata. Un macello, tanto per parlar chiaro. Ogni volta che un bambino ha sintomi influenzali o un po’ di tosse dobbiamo richiedere il tampone, ma a volte i genitori sono contrari e bisogna mediare. In questi giorni abbiamo avuto diversi casi e ogni sera siamo rimaste in ambulatorio sino a tardi. Un po’ di riposo mi farà bene». E magari anche una vacanza, visto che è uno dei regali che ha ricevuto. Buona pensione dottoressa. —