foto da Quotidiani locali
Padri nobili e storici esponenti del Pd si pronunciano per il No al referendum. Veltroni è ultima figura di peso ad aggiungersi ai molti che già dichiarano di non seguire le indicazioni del partito. Certo, il Pd non è il Pci, né per modello di partito né per cultura politica, e il centralismo democratico è solo un pallido ricordo. Storicamente, poi, la materia referendaria è sempre stata occasione di differenziazioni. Significativo, però, il fatto che il dissenso sia così esteso e coinvolga anche chi è stato dirigente di primo piano ed è ancora un influente opinion leader.
Il qualificato schieramento interno per il "no" non intende mettere in discussione la leadership di Zingaretti: solo tra alcuni ex(?) renziani vi è questa tentazione. I fautori del "no", temono, piuttosto, l'effetto populista dell'onda dell'antipolitica, in una fase in cui servirebbe più non meno politica: anche se di maggiore spessore e competenza. E capace di andare oltre l'istante e pensare il futuro. Timori che si aggiungono a quelli sui deleteri effetti sul sistema della rappresentanza e sul processo legislativo in assenza di un coerente quadro di riforme istituzionali. Influisce, in chi è per il "no", anche la diffidenza verso lo scambio politico, all'origine del patto di governo, che ha come oggetto il "sì" al referendum contro nuova legge elettorale. Uno scambio che, per varie ragioni, si è dilatato nel tempo, facendone saltare la contestualità.
Insomma, il Pd ha dato, generosamente, contro qualcosa che forse non vedrà mai. Cedendo a un'intesa profondamente diseguale. I pentastellati incassano subito un successo che il Pd non riuscirà a cointestarsi politicamente, sia perché il partito e il suo elettorato sono divisi, sia perché a festeggiare, esaltandone la demagogica portata sul balcone di turno, saranno i pentastellati. Mentre il Pd rischia di perdere la guida di importanti Regioni a causa della decisione Cinquestelle di non sostenerne i candidati: nonostante la consultazione farsa sul via libera alle alleanze territoriali andata in scena sul moribondo Rousseau.
Insomma nel "no" a sinistra vi sono questioni di merito e questioni politiche. Non ultima l'impressione che il Pd sia stato troppo subalterno alle richieste del M5S, ormai balcanizzato e unito solo da facili battaglie populiste come quella referendaria. Anche la sacrosanta offensiva per imporre il ricorso al Mes, che Zingaretti intende porre dopo il referendum, rischia di essere condizionata da un insuccesso alle regionali, facilitato dall'egoista scelta Cinquestelle, e dalle fratture che la vicende referendum non mancherà di produrre. Paradossalmente ma non troppo, il " no" a sinistra lascia aperta una prospettiva per il dopo che può portare alla liquidazione delle molte ambiguità politiche in materia di alleanze. Una fase che costringerà anche Conte a venire allo scoperto o a uscire di scena insieme alla maggioranza che gli ha ridato le chiavi di Palazzo Chigi.
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