ROCCA PIETORE (Belluno). Altro che 25 o 30 anni. Il ghiacciaio della Marmolada nel 2035 potrebbe non esistere più. Non più di 15 anni di sopravvivenza, dunque. E c’è chi la fissa addirittura fra 10 anni.
Quella che sembrava la più pessimistica “aspettativa di vita” del ghiaccio della Marmolada, ipotizzata l’anno scorso dai glaciologi di fama nazionale e confermata nei giorni scorsi dai ricercatori di Legambiente, viene ampiamente superata dagli scienziati dell’università di Padova e di altri centri di ricerca.
«Il ghiacciaio negli ultimi 70 anni ha ormai perso oltre l’80% del proprio volume, passando dai 95 milioni di metri cubi del 1954 ai 14 milioni attuali», spiega Aldino Bondesan, coordinatore delle campagne glaciologiche per il Triveneto e autore, assieme a Roberto Francese dell’Università di Pavia, di indagini sullo spessore del ghiaccio mediante georadar, «e le previsioni di una sua estinzione si avvicinano sempre di più: il ghiacciaio potrebbe avere non più di 15 anni di vita».
Le misure condotte negli ultimi 15 anni da Mauro Varotto, responsabile scientifico del Museo di Geografia dell'Università di Padova, e Francesco Ferrarese sulle variazioni frontali e di superficie giungono alle stesse conclusioni.
«La superficie del ghiacciaio», osserva Varotto, «è passata dai circa 500 ettari stimati da Richter nel 1888 ai 123 ettari del 2018. Dal 2010 al 2020 la fronte è arretrata in media di 10 metri l’anno sui 9 segnali di misura. Se estendessimo il trend di riduzione di superficie degli ultimi 100 anni (3 ettari/anno), la fine del ghiacciaio è fissata per il 2060; se consideriamo il trend di contrazione degli ultimi 10 anni (5 ha/anno), la fine viene anticipata al 2045; ma il trend degli ultimi 3 anni è ancora più allarmante (9 ha/anno) e potrebbe portare alla scomparsa di buona parte del ghiacciaio già nel 2031».
Quest’estate la neve caduta in luglio, grazie alle basse temperature di quel periodo, aveva fatto tirare un sospiro di sollievo agli esperti come Mauro Valt dell’Arpav di Arabba: da parte loro c’era l’illusione che avrebbe tenuto, che sarebbe stata una provvidenziale copertura del ghiacciaio, una protezione dalle temperature eventualmente in crescita. Invece nel mese di agosto la colonnina del mercurio è schizzata, e per tante notti a Punta Penia, come testimonia Carlo Budel, che gestisce il minuscolo rifugio della vetta, non si è raggiunto neppure lo zero termico.
Ma di chi è la colpa? Non certo dei turisti che hanno preso d’assalto la montagna (ma non la Marmolada), come si è detto in questi giorni.
«Le misurazioni annuali al ghiacciaio della Marmolada condotte da geografi e glaciologi dell’Università di Padova», dicono gli esperti, «tratteggiano di anno in anno un quadro sempre più fosco sullo stato di salute del più importante ghiacciaio delle Dolomiti. La drammaticità della situazione attuale emerge con ancora maggiore nitidezza se messa a confronto con gli oltre cent’anni di misurazioni condotte dall’Università di Padova a partire da Giovanni Marinelli, uno dei pionieri della geografia italiana. Studi e ricerche che fanno della Marmolada uno dei ghiacciai più studiati dell’arco alpino. La rapida contrazione dei ghiacciai e il ripetersi sempre più frequente di eventi estremi trovano un epicentro significativo», rilevano gli esperti di Padova, «proprio nel comune di Rocca Pietore, ai piedi della Marmolada, il territorio più colpito dalla tempesta Vaia del 2018, insignito della bandiera verde di Legambiente per l’impegno nel ripristino dei danni prodotti.