Ci sono due tempi, sembra suggerire Giorgio Nisini, uno giusto e uno sbagliato. Uno corretto, regolato e piatto; e uno scorretto, rivoluzionario e appuntito. Viviamo dentro un’aritmia, che in senso esistenziale diventa una schizofrenia, come se il nostro cuore fosse un orologio che contiene due meccanismi distinti e in opposizione; e forse solo per opposizione o per contrasto possiamo conoscere la forma di verità, o di stare nel tempo, che ci è concesso conoscere.
Ma ci sono anche due tipi di donne, che poi in fondo sono la stessa donna; e due forme di amore, che sono lo stesso amore. La donna moglie e la donna amante. L’amore passione e l’amore di tranquilla quotidianità. L’amore piatto e quello appuntito. Se entriamo nel triste immaginario maschile (quindi anche nel mio) possiamo vederli in azione, coglierne la verità narrativa, se non effettiva. Vorremmo unire l’amore piatto e quello appuntito nella stessa persona, che sarebbe insieme moglie e amante: ma non è possibile, perché si tratta solo di una escrescenza, o pretesa etica, dentro una narrativa troppo potente. E quindi un’ironia: la trasgressione, infatti, spesso rinfocola il desiderio. A livello di immaginario siamo in un ossimoro, e uno dei più tristi ossimori che si possano escogitare.
Giorgio Nisini mette magistralmente in scena questo ingranaggio dell’immaginario maschile, con tutti i suoi corollari di tradimento e di colpa, e le sue limitazioni fantasmatiche, ma nello stesso tempo, raccontandone dettagliatamente i processi, lo mette in crisi. Il controllo del tempo, e il controllo del corpo altrui, attraverso la metafora del cronografo (che ritma il romanzo di sofferta razionalità), è troppo limpida per essere vera. Una foglia di fico, che organizza in modo troppo trasparente i detriti della vita (e le vite dei personaggi di Nisini, come le vite di chiunque, compresa la mia, sono in gran parte accumuli caotici di detriti).
E allora ecco che i due regni del passionale e del regolare, l’aritmia fondamentale dentro la quale viviamo, si confondono, si disseminano, diventano cancerosi. Vediamo facce diverse corpi diversi amori diversi come se il tempo fosse una sterminata fase puberale. Siamo fantasmi che credono di poter vivere di fantasie. E ci travolgono i volti confusi, le telefonate mancate, le serate in cui non si sapeva cosa dire e si camminava sulla spiaggia con le birre in mano; riviviamo quella passione che non è nemmeno desiderio, ma un semplice voler vedere fin dove si arriva, per pura noia, forse. La perversione inutile, o utile, o meccanica: che sboccia come se nulla fosse, dentro un piano architettato un secondo prima e spento un secondo dopo. Ci travolgono gli scarti, tutto quello che non torna. La schizofrenia. Scopriamo, spesso con stupore, che l’attrazione è una attesa che esclude tutto ciò che non fa parte dell’obiettivo, scopriamo di guardare il mondo (e le donne) per drastiche riduzioni di ricchezza e di esuberanza.
È necessario allora recuperare i mille rivoli di noia, di intermittenze del cuore, di frasi dette per caso che somigliano a verità consolidate, e soprattutto sentire fino in fondo la carica dei tradimenti subiti, il peso delle fughe femminili che sono consistenti quanto quelli maschili, ma che risultano appannarsi in una nebbia di necessità inebetita, o di egocentrismo mal riposto. Uomini e donne: siamo nella stessa fragilità di sentimenti, nella stessa afasia di riconoscimento, siamo una porta chiusa di notte e un telefono che non risponde; e nello stesso tempo completamente puri in un amore che non esiste. Siamo due tempi diversi, uno regolare e uno irregolare. Stasi e nomadismo. Pace e cambiamento. Muovendoci tra questi poli cerchiamo sponde affettive che scopriamo intercambiabili.
Ricordo ancora quei lontani pomeriggi, in cui il semplice effetto di un sorriso eliminava i colori, o le note di Keith Jarrett modificavano il battito del cuore, e mi capitava di ripensare a chi mi aveva accompagnato nel viaggio dentro l’imprendibilità dei moti affettivi. Nei frammenti di verità labile, non sapevo a chi apparteneva una certa rivelazione e a chi un'altra, e mi consolavo al pensiero che nemmeno per chi mi aveva accompagnato c’era un nome collegato a una rivelazione, ma anche io ero in mezzo al caso, poco importante, intercambiabile, in fondo inutile. Il libro di Giorgio Nisini mi porta sulla soglia di un’ossessione, dove a parlare, e ad assordare, è sempre quello che sfugge. —
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