TRIESTE Sarebbe una perdita secca, in Friuli Venezia Giulia, di quasi metà dei parlamentari attualmente eletti. Ma non è solo, evidentemente, un problema di rappresentanza. C’è pure la necessità, per la politica, di distribuire posti ad aspiranti di lungo corso così come agli emergenti. Ed è dunque una questione che divide, impone riflessioni, imbarazza i partiti.
Anche in regione è scattato il countdown verso il referendum di domenica 20 e lunedì 21 settembre, occasione per gli italiani di decidere (senza quorum) sullo storico taglio degli eletti a Camera e Senato voluto da una legge costituzionale targata Movimento 5 Stelle, approvata dal Parlamento, ma senza la maggioranza qualificata dei due terzi e per questo, a seguito dell’iniziativa di 71 senatori, sottoposta a un passaggio popolare. Prevalesse il Sì, i deputati diminuirebbe da 630 a 400 e i senatori da 315 a 200, una doppia riduzione che entrerebbe in vigore al momento dello scioglimento delle Camere. I calcoli non sono complicati.
A livello nazionale, il taglio è del 36,5% sia a Montecitorio che a Palazzo Madama, ma la percentuale è più alta per il Fvg. La proposta di legge costituzionale prevede infatti che i seggi riservati alla regione passino da 13 a 8 alla Camera (-38,5%) e da 7 a 4 al Senato (-42,9%). In sostanza ci ritroveremmo con 12 parlamentari al posto degli attuali 20, il 40% in meno. Si apre dunque un problema di rappresentanza, come osserva Salvatore Spitaleri, ex segretario regionale del Pd, membro della commissione Paritetica Stato-Regione, nel ricordare tra l’altro la differenza con quanto accadrebbe invece in Trentino Alto Adige, Regione a statuto speciale sempre capace di tutelare i propri interessi, in virtù degli accordi per la tutela della minoranza tedesca, ma anche per la capacità di lobby dei suoi esponenti politici. In quella regione, appunto, i deputati caleranno da 11 a 7 (-36,4%), ma i senatori da 7 a 6, e dunque solo del 14,3%.
Il pericolo, secondo Spitaleri, è che in Fvg, per quel che riguarda il Senato, interi territori possano risultare privi di rappresentanza nel gioco tra maggioranza e opposizione, osservazione che si collega alla questione della legge elettorale, sulle cui modifiche Pd e M5s stanno trattando a Roma. Con il sistema vigente, il Rosatellum, lo scenario più verosimile è quello di un centrodestra pigliatutto a Palazzo Madama, tanto da impedire alla minoranza di poter contare almeno su un senatore sia nella Venezia Giulia che in Friuli. Ettore Rosato, il presidente di Italia Viva che di quel sistema è il “papà”, non ne fa però un caso. «Il tema è se vogliamo conservare un sistema maggioritario o virare verso uno proporzionale – afferma –. Sciolto questo nodo, non sarà difficile procedere. Senza però dimenticare che la legge in vigore può essere applicata anche dopo il taglio dei parlamentari, in un contesto in cui procedono peraltro pure altre modifiche costituzionali, una delle quali renderebbe il Senato collegio nazionale come la Camera, con effetti sul sistema elettorale di Palazzo Madama. Sì o No? Siamo un partito che ha lasciato libertà di voto. Andrò alle urne, ma, da presidente, del partito, preferisco non indicare una linea».
Un quadro complesso, nel quale si inseriscono i mal di pancia di più o meno tutti i partiti, eccezion fatta per i pentastellati. Non sorprende che molti protagonisti, in questi giorni, preferiscano tenersi fuori, prendere tempo, rinviare il tema. Matteo Salvini, per esempio, nonostante tra i 71 richiedenti il referendum ci siano anche sei senatori leghisti, spiega di avere sempre votato Sì e non di voler cambiare idea: «Io ho una sola faccia e la Lega pure, a differenza del Pd e di Renzi che prima votano no e poi, per salvare la poltrona, dicono sì». In un centrodestra che viaggia con partiti non poco divisi sull’argomento – e con più di qualcuno che non si straccerebbe le vesti per una vittoria del No – non stupisce che i big non si espongano, a partire dal governatore Massimiliano Fedriga. Mentre sul fronte dem, con la contrarietà al taglio ribadita da Tatjana Rojc, che ha sempre posto il nodo della lesione dei diritti di rappresentanza delle minoranze linguistiche in Italia, c’è la sensazione che il No si stia in qualche modo strutturando e organizzando. Non urlato, ma netto, è l’orientamento per la conferma dei numeri attuali di Spitaleri: «Credo ci siano varie questioni aperte, dalla legge elettorale ai rapporti tra maggioranza e opposizione, che inquinano il ragionamento sul taglio e rendono difficile una valutazione neutra. Senza contare che i tanti senatori in meno complicherebbero l’iter legislativo».
Un deciso invito al No arriva da Articolo Uno Fvg. Con la premessa che la riforma «produrrebbe un risparmio risibile e paragonabile a un caffè in meno per ogni italiano», il risultato sarebbe di «vedere fortemente ridotta la rappresentatività del nostro Parlamento. In buona sostanza, in Camera e Senato non sarebbero più rappresentate quella moltitudine di specificità territoriali, culturali e politiche che da sempre hanno caratterizzato il Paese». Nello specifico del Fvg, «la regione subirebbe uno dei tagli più penalizzanti e in queste condizioni sarà anche impossibile eleggere parlamentari rappresentativi delle minoranze linguistiche. La riduzione degli eletti, così come prevista da una modifica costituzionale avulsa da un progetto di riforma elettorale, risulta del tutto inutile e, peggio, controproducente, oltre a essere un pezzo di quella delegittimazione della politica che piace tanto a chi vorrebbe toglierci un pezzo di democrazia». —