MARINA DI MASSA. Ognuno trova la sua Samarcanda dove il destino l’aspetta. Per la famiglia Lassiri, originaria del Marocco e trapiantata a Torino, l’appuntamento con la fatalità è stato in un campeggio in Versilia, a Marina di Massa. Lì, poco dopo le 7 del mattino, hanno perso la vita le due figlie minori, Jannat e Malak, di 3 e 14 anni. In questa imprevedibile estate del 2020 abbiamo visto vite svanire nei modi e luoghi più impensati: accanto a un traliccio ai bordi di un’autostrada siciliana, nel porto di una tormentata capitale mediorientale, sulle strade di un’America dilaniata dalle prove generali di una nuova guerra civile, al rientro da una vacanza sconsiderata. Di tutte, la fine di queste due bambine è la più amara: un colpo secco interrompe un breve percorso in cui si accumulano particolari che sanno d’innocenza, allegria, qualche speranza. Un salvagente colorato, un materassino gonfiabile, un secchiello. E una tenda strappata.
Alle prime luci del giorno un nubifragio ha infuriato sulla costa della Toscana. Le previsioni meteorologiche erano state di quelle che spaventano, ma dopo un susseguirsi di bagliori rossi, che avevano illuminato il litorale dietro lo schermo delle nuvole, la nottata sembrava passata. Era sorta, seppur grigia, l’alba. Invece, il peggio doveva ancora venire. La famiglia Lassiri era in vacanza da una settimana. Il padre si era trasferito da anni a Torino, quartiere Lucento, e aveva trovato lavoro come operaio. La moglie si occupava della casa e dei figli: tre femmine e un maschio. La più grande aveva 19 anni. Erano integrati nella comunità locale. Le due ragazze si dedicavano con successo al judo, partecipando a tornei regionali. Si erano ormai lasciati alle spalle la realtà del Nordafrica. La loro vita era qui. Dopo i difficili mesi della clausura per evitare il coronavirus il padre aveva ripreso a lavorare e, per garantire alla famiglia una vacanza anche in questo tempo difficile, aveva chiesto e ottenuto l’apposito bonus previsto dal governo.
E’ solo il primo di una serie di scatti in cui il bene iniziale conduce al male finale. Non ci si può leggere un disegno, soltanto l’ineluttabilità del caso. Per un’estate, niente Marocco, come d’abitudine: Italia anche durante le ferie. Come meta scelgono un campeggio toscano: il Verde Mare a Marina di Massa. Sorge all’interno di una pineta, ha piscine e aree giochi, promette una piccola oasi per chi ha temuto il deserto. Affittano un bungalow che si rivela inevitabilmente piccolo per tutti e sei. E si aggiunge pure uno zio. Qui avviene il secondo scatto fatale. Gli adulti si stabiliscono nella struttura e per le figlie attrezzano come ricovero notturno una tenda. Lo fanno secondo tutti i crismi, nella piazzola apposita, sotto quel che sembra un rifugio fornito da quattro grandi pioppi. Sono alti più di quattro metri, stanno lì da anni, forniscono ombra, filtrano la pioggia. Affidabili. E’ facile immaginare l’entusiasmo delle sorelle. L’abbiamo provato tutti (o almeno visto in qualche telefilm) il desiderio della tenda in giardino, succedaneo della grande avventura, fortino per i più piccoli, dove sentirsi grandi e misteriosi. Hanno probabilmente chiacchierato ogni sera fino a tardi, alla luce del cellulare della maggiore, della torcia elettrica, nessuna lampada accesa da un fiammifero perché il fuoco è un pericolo.
L’ultimo scatto, quello determinante, avviene sabato. Dovrebbe essere il giorno della partenza, ma viene rimandata. Probabilmente proprio a causa delle previsioni meteo preoccupanti. Per non incontrare il maltempo sul percorso, decidono di fermarsi ancora. Ed è il maltempo che viene a cercarli. Si arrangiano per la notte supplementare. Secondo una ricostruzione: gli adulti dormono nell’auto e la bambina dovrebbe stare con loro, ma si dispera, non vuole abbandonare le sorelle. Viene accontentata. E’ la trama infelice di tante sciagure: la vittima che non doveva esserci, quella che prende il treno al posto dell’altra che lo perde. Quella che parte un giorno prima o, come stavolta, uno dopo.
Avrebbero anche potuto svegliarsi per il temporale. O forse l’hanno fatto, ma non sono uscite dalla tenda proprio pensando di essere al riparo sotto quei grandi alberi. Invece uno cede di schianto e si abbatte su di loro. Sulla più piccola in particolare. I soccorsi tentano di rianimarla, ma si spegne lì, in quello spiazzo, tra i giochi e le piante. La quattordicenne viene portata inutilmente in ospedale e avrà soltanto una manciata di ore in più. La sorella maggiore è leggermente contusa. Gli altri, illesi.
L’elisoccorso resta lontano, ostaggio del vento: non avrebbe potuto fare di niente di più. Lontano dalle telecamere e dalle scontate domande il padre certifica dolore e volontà firmando il modulo per l’espianto degli organi della figlia Malak, la promessa del judo. Sui siti appare qualche sua foto presa dai social. Arriva il cordoglio del presidente del consiglio, di quello della regione Toscana, della sindaca di Torino. Parole dovute, riti dell’inspiegabile. Si annuncia un’indagine. O meglio, l’ennesimo capitolo dell’indagine che prosegue invano da secoli: quella sul fato. Come affermato dal presidente dell’associazione dei campeggi della zona: c’è stato un temporale di forza eccezionale, tra tutte le strutture ne ha colpita con violenza solamente una, tra tutti gli alberi ha fatto cadere quello. Al Verde Mare di Samarcanda.