MODENA. “Porte chiuse”? Il rischio pare scongiurato, ma che non potrà offrire il solito maestoso colpo d’occhio per le norme anti Covid (2000 i fortunati ammessi all’interno o nella migliore delle ipotesi solo gli abbonati?) è ormai una triste realtà. Peccato, perché un giorno arrivò Lui e la nostra vita cambio: sì, Lui, perché di seguito parleremo non di una fredda struttura progettata dall’architetto Vinicio Vecchi ed inaugurata in quell’ormai lontano mercoledì 25 settembre 1985, ma di qualcosa di ben diverso, di magico, di vivo, di un vero e proprio simbolo della città di Modena che ha accompagnato negli ultimi 35 anni l’esistenza di tutti noi.
Chi ha vissuto l’epopea della Panini al PalaMolza sa bene quanto fosse necessario un impianto che rappresentasse al meglio Modena in Italia e nel mondo intero. Per essere tra i mille o poco più fortunati che entravano al PalaMolza a spingere i campioni di Anderlini, Guidetti e Nannini c’era chi saltava la scuola e aspettava ore in fila di poter urlare “Panini-Panini...”. Serviva una svolta e alla fine arrivò: atteso, desiderato, amato il nuovo Palasport di Via Divisione Acqui debuttò nel 1985, il 2 novembre, facile 3-0 su Chieti davanti a 2500 spettatori, bissato sette giorni dopo contro Santa Croce, poi, però, il 23 novembre, la doccia fredda, 0-3 (12-15, 15-17, 15-17) contro la Tartarini Bologna che pochi mesi prima aveva strappato alla Panini uno scudetto che Modena considerava già suo.
Franco Bertoli, capitano di quella Panini racconta così il passaggio epocale dai mille del PalaMolza ai cinquemila (spesso molti di più) di Via Divisione Acqui.
«Io arrivai un paio d’anni prima, il Commendator Panini mi convinse a lasciare Torino per Modena, regalandomi un’altra storia meravigliosa nella mia carriera. Difficile spiegare che cosa sia stato per noi il nuovo Palasport. Sicuramente ci sentimmo come se ci fosse stata concessa una nuova grandissima opportunità di far felice la gente di Modena. E credo che l’abbiamo sfruttata, cinque finali consecutive, fino al 1990, quattro scudetti vinti, in modo anche rocambolesco, con rimonte impossibili, la gente ovunque, tanto che anche il “nuovo Palasport” si rivelò troppo piccolo per quelle finali. Di certo per me giocare in quell’impianto è stato un grande onore e privilegio, se il pubblico è era il nostro settimo uomo, quel palazzetto si rivelò ben presto l’ottavo, il nono e il decimo giocatore. Era qualcosa di meraviglioso, entravi in campo per il riscaldamento e sentivi la gente che era al tuo fianco, Antoine ci chiamava sul parquet, uno per uno, con i nostri nomi di battaglia, era una bolgia, davvero difficile perdere in quelle condizioni».
Nel 1996, dopo la scomparsa del Commendator Panini, l’amministrazione comunale gli intitolò l’impianto.
«Credo che dedicare il palasport a mio padre - dice Antonio Panini, figlio del leggendario Giuseppe - sia stato un bellissimo gesto da parte del Comune di Modena. Io e la mia famiglia ne siamo orgogliosi e tutte le volte che mi è poi capitato di entrarci mi è sembrato che Giuseppe fosse lì con noi. Dedico un ringraziamento speciale a Maria Carafoli, all’epoca dirigente dell’Ufficio Sport del Comune, che tanto si è spesa per la costruzione dell’impianto prima e per l’intitolazione a mio padre poi ».
Nel gennaio del 2015 Modena ha celebrato la partita numero 1000 di squadre della città (comprese quelle femminili) giocate al PalaPanini. Dalla stagione 1985/1986, tra campionato e Coppa Italia, senza gli incontri delle coppe europee, Panini, Daytona e Modena Volley hanno festeggiato al Palazzo cinque scudetti. 558 le partite giocate, di cui 424 vinte, numeri che aiutano a capire perché il PalaPanini sia stato, sia e sarà per sempre uno di noi. —
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