PADOVA. Una sfida nella sfida. Mentre le scuole di ogni ordine e grado si affannano nel tentativo di garantire gli standard di sicurezza imposti da decreti e relative linee guida, le paritarie sono costrette a fare i conti anche con una mancanza di insegnanti ormai endemica.
Ed è corsa al contratto: sono oltre 300 quelli che la Fism (Federazione italiana scuole materne) dovrà stipulare prima del rientro in classe, ovvero nel giro di una manciata di giorni. «Ogni anno registriamo un turnover molto elevato sul fronte degli insegnanti di circa il 20%» denuncia il presidente provinciale della Fism, Mirco Cecchinato «questo perché c’è una migrazione costante verso le scuole statali, che garantiscono condizioni contrattuali molto più vantaggiose, a partire dal trattamento economico.
Basti pensare che durante il lockdown i nostri insegnanti hanno percepito 600 euro di cassa integrazione, mentre i colleghi potevano contare sullo stipendio pieno».
Un problema strutturale che tuttavia quest’anno rischia di essere aggravato, appunto, dall’esperienza vissuta durante l’emergenza Covid, oltre che dall’incremento delle richieste nel settore pubblico. Complessivamente sono 1800 i lavoratori Fism, la maggior parte dei quali insegnanti.
«Con queste regole non si riesce a stare al passo con il fabbisogno della nostra provincia, figuriamoci della regione» spiega Cecchinato «in Veneto ci sono solo due università che rilasciano il titolo abilitativo per questo tipo di insegnamento e sono Padova, con 200 posti e Verona con 100. Sono entrambe a numero chiuso e sebbene qui la disponibilità sia aumentata di 50 posti, è evidente che non basta».
A metterci la proverbiale “pezza” in via provvisoria, racconta la Fism, era stata qualche anno fa Carmela Palumbo, ora direttrice della scuola veneta che aveva dato il via libera all’assunzione di personale con titoli equipollenti per garantire, in emergenza, il fabbisogno delle strutture. Un escamotage finito nelle maglie della burocrazia.
«Ce la siamo cavata fino a quando è intervenuto il Decreto dignità. Questo, dopo un anno di contratto, ci imponeva di assumere il lavoratore laddove noi, in caso di disponibilità di un insegnante con titolo abilitante, dovevamo chiamare quest’ultimo» prosegue Cecchinato «fortunatamente è stato sospeso, ma la situazione va chiarita una volta per tutte».
Ai blocchi di partenza sul territorio ci saranno 195 scuole paritarie (erano 200), con chiusure che, garantisce la Fism, «sono slegate dall’effetto Covid»; 17 mila i bambini «non ci sono stati recessi da gennaio, la flessione del 5% è dovuta alle scelte dei no vax, dal calo demografico e dalla decisione di privilegiare la scuola statale, spesso guidati dalla convinzione erronea che lì si spenda meno perché si paga “solo” la mensa che, essendo calcolata in base all’Isee, paradossalmente, può essere più onerosa della nostra retta» spiega il presidente della Fism. Molto si gioca anche sull’equivoco: «Si tende a confondere le scuole paritarie con le private, ma noi siamo scuole pubbliche di diritto privato, non facciamo utili, cerchiamo il pareggio di bilancio».
Ed ecco lo scoglio: «Dei 300 milioni promessi dal Governo per le paritarie non è ancora arrivato nulla e comunque saranno insufficienti» chiarisce «dal canto suo la Diocesi è stata fortemente impegnata con i bisognosi e ha dovuto fare i conti con la mancanza di entrate. Per fortuna il sindaco ha dimostrato grande disponibilità, con l’impegno a erogare subito 200 mila euro e la promessa di farci recuperare i restanti 200 mila nei prossimi tre anni grazie alla stipula di una nuova convenzione».
Eppure, per il futuro, lo scenario appare tutt’altro che roseo tra la difficoltà diffusa di mantenere il bilancio in salute, il calo demografico e una certa “stanchezza” da parte dei parroci: «I parroci si stanno molto sacrificando sul territorio» conclude Cecchinato «la nostra sfida è togliere loro impegno e responsabilità sul fronte di gestione e didattica, lasciandogli esclusivamente l’attività pastorale.
Così le scuole resterebbero un patrimonio del territorio, ma noi potremmo diventare un collettore di finanziamenti, per non parlare dei risparmi. Sarebbe un cambio radicale, una svolta in direzione della modernità e possiamo farlo: già oggi, come centro servizi, in Italia siamo secondi solo a Milano». —
