Visto da est, da Udine, il dominio di Agrusti su quasi tutto quello che è (stata) la provincia di Pordenone risalta particolarmente. Non per “colpa” – con le doverose virgolette, considerato come da tanti punti di vista gestire il potere così a lungo sia un merito figlio di indubbie capacità – dello stesso Mike perché, come direbbe Virgilio, lupus ovium non curat numerum: al lupo non interessa quante siano le pecore.
No, la monarchia agrustiana nei corpi intermedi balza agli occhi, al di qua del Tagliamento, per l’estrema diversità della situazione in cui all’accentramento dei pordenonesi si contrappone quello che potremmo definire come un esasperante policentrismo udinese che però, in una maniera o nell’altra, da un paio d’anni a questa parte ha avuto la sagacia di rafforzare il territorio e di renderlo capace di contare maggiormente nelle scelte strategiche. Il problema, semmai, è che non si vede.
Il potere, in sintesi, a Udine è diviso in più mani. Sia chiaro, non è che a queste latitudini impazzino i giovani di talento, ma la cartina geografica di chi conta è variegata. Certo, in Camera di Commercio (e pure in Confcommercio da un po’) domina un eterno Da Pozzo, però nel panorama generale pesano ad esempio (e parecchio) i Danieli, nella declinazione della Mareschi o in quella di Benedetti a seconda dell’angolo di visuale scelto, i Fantoni e, soprattutto in alcuni ambienti, anche i Nonino.
Poi c’è la politica. Il vicepresidente con delega alla Salute (Riccardi), l’assessore alle Attività produttive (Bini), quello alle Infrastrutture (Pizzimenti) sono udinesi e hanno in mano complessivamente quasi il 70% del bilancio di piazza Unità, anzi facciamo l’80% se ci aggiungiamo la Protezione civile. Il segretario del principale partito di opposizione (Shaurli) pure e l’Ateneo, politicamente meno esposto rispetto ai tempi di De Toni e Honsell, rappresenta un centro di interessi e di intellighenzia non secondario. A essere del tutto pignoli, poi, ci si dovrebbe aggiungere anche quello che accade in montagna con l’asse decisamente centrato sulla Valcanale (Mazzolini e Tognoni).
Tuttavia, potrebbe obiettare qualcuno, questo quadro difetta di un leader unitario che si vede, invece, a Pordenone. Vero, senza dubbio, se non fosse che il concetto di leadership non può esaurirsi nella pur fondamentale accezione di aggregatore e simbolo, ma deve portare a casa risultati tangibili. Ora, Agrusti grazie all’alleanza con la Venezia Giulia veleggia verso risultati economici e industriali notevoli, anche perché è quello il suo compito principale. Ma quanto al resto, se ponessimo su una bilancia le due sponde del Tagliamento, dove penderebbe l’ago tra infrastrutture strategiche nazionali e regionali (Venezia-Trieste via Bassa friulana, Udine-Cervignano, Tangenziale Sud), trasporti (Frecce, Italo e pure la possibile continuità territoriale su Ronchi, a 20 minuti d’auto da Udine), sanità (Cro a parte), montagna (Tarvisio e Sappada), turismo (Lignano) e contributi vari? Non serve rispondere. La domanda è del tutto retorica. —
