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Crisanti: «Pochi casi? Forse non li contiamo bene»



Il virologo, sulla possibilità di una seconda ondata in autunno dice a Panorama: «Ci saranno sicuramente nuovi cluster, tante diverse zone rosse da circoscrivere, delimitare, tracciare. Ma se saremo bravi, potremo evitare un altro lockdown».

Professor Crisanti, tra pochi giorni riparte la scuola, e il protocollo sanitario non è ancora definito.

Lo so, purtroppo.

Il comitato tecnico scientifico ha dato alcune direttive, recepite nelle linee guida del ministero, e prenderà a fine agosto l'ultima decisione sull'obbligo di mascherine.

Io sono un po' stupito, di quello che vedo e che leggo, mi piacerebbe poter dare qualche consiglio.

Un decalogo?

Ma guardi: per non fare pasticci basterebbe molto meno. Magari anche solo cinque buoni consigli.

Un «pentalogo» diciamo.

(Sorride). Vada per il pentalogo.

E da dove comincerebbe?

Prima di tutto dal buonsenso.

Ovvero?

Quando si combatte un'epidemia bisogna sempre partire dal buonsenso: ovvero dal principio generale che bisogna chiedere alle persone solo quello che per loro è possibile e quello che realisticamente è sensato fare.

E invece?

Noto che talvolta si parte da quello che non ha senso chiedere perché è irrealizzabile o troppo complesso.

A che cosa si riferisce?

Partiamo dalla questione delle temperature e della loro misurazione?

Certo.

Io francamente sono abbastanza stupito di questa idea di chiedere alle famiglie di misurare la temperatura a casa ai loro figli.

Perché?

Ma ha idea di che cosa significhi otto milioni di termometri usati da otto milioni di mani diverse, ogni giorno?

Me lo dica lei.

È una cosa senza senso. Una roba da mettersi le mani nei capelli.

Intende dire che ci sarebbe un termometro diverso per ogni studente?

Ma è ovvio: in fondo la scienza è prima di ogni altra cosa la possibilità di misurare in modo omogeneo. Adesso, lei provi a immaginare in quanti modi diversi un genitore potrebbe prendere la temperatura al figlio.

Vuol dire che se la misurazione avviene a casa è molto difficile che si crei uno standard omogeneo?

È matematicamente impossibile, direi. C'è chi misura con un termometro termico, chi con quello digitale, chi alla tempia, chi sotto l'ascella, chi in bocca... Una varietà di opzioni, non me le faccia ricordare proprio tutte, che vanifica ogni speranza di avere un qualsiasi parametro comune. Allora questo sforzo titanico non serve più a nessuno.

Ma se non lo fanno le famiglie come e dove si potrebbe misurare la temperatura dei ragazzi?

A scuola, ovviamente.

Il comitato tecnico scientifico lo ha sconsigliato, per evitare assembramenti in entrata. Dicono che si creerebbero file chilometriche agli ingressi degli istituti.

Questo sinceramente mi sorprende: cosa ci vuole a usare un termometro a pistola, o ancora meglio un bio- scanner?

Come quelli degli aeroporti?

Ma certo! Invece che comprare due milioni e mezzo di banchi nuovi, mossa assai costosa di cui continuano a sfuggirmi l'utilità e la connessione con il Covid, basterebbe collocare degli apparati agli ingressi di ogni plesso scolastico.

E il rischio-fila? Gli istituti possono avere anche migliaia di studenti.

Mi scusi, ma alla Fiat - faccio un esempio per dire - non hanno migliaia di operai? E le decine di industrie che in questi mesi hanno varato protocolli di autotutela, come fanno, se non così? Mica misurano a casa!

Come si evitano le file?

In primo luogo mettendo agli ingressi questi apparati, relativamente poco costosi, che fanno la scansione in tempo reale: anche una al secondo.

E poi?

In secondo luogo questa scansione può essere anche agevolata con ingressi in classe scaglionati, anche di pochi minuti.

E come mai è stata esclusa questa procedura?

Non lo chieda a me. Certo con un bio-scanner possiamo avere la certezza di un dato comune, omogeneo, sicuro. Con la lotteria dei termometri a casa possiamo essere certi del contrario! Avere un caos equivale a non misurare.

Ma i bio-scanner funzionano anche con grandi numeri e con grande concentrazione di accessi?

Io sono veramente attonito da questo dibattito. E come sta funzionando negli aeroporti? Con una persona scansionata al secondo.

E voli che hanno 200-300 passeggeri. Che spesso si accavallano ai varchi.

Esatto. Quello che stupisce, e qui faccio una digressione, è che si adottino criteri di risoluzione diversi rispetto agli stessi problemi.

Per esempio?

Guardi, dopo completiamo il discorso sulla scuola: ma a lei pare possibile che ci sia un criterio di viaggio sui treni nazionali, più restrittivo, e uno per i treni locali, meno restrittivo? È assurdo.

Lo spieghi.

Intanto il primo principio da seguire deve essere la tracciabilità e - di nuovo - l'omogeneità. Quindi mi spiega che senso ha viaggiare con l'alta velocità vuota al 50 per cento, se poi, magari lo stesso passeggero, poco prima o poco dopo, si ritrova ammassato sul treno locale, carico come in una una scatola di sardine?

Lei pensa che l'errore sia il treno locale.

Ma senza dubbio! Fra l'altro lì non ci sono posti nominali: se si scoprisse un contagiato sarebbe impossibile tracciare i suoi compagni di viaggio.

E l'alternativa?

Di fronte a un caso positivo? Sarebbe quella di tracciare tutti e quindi di bloccare tutti, una follia, o quella non bloccare nessuno, un'altra follia.

Lo dice sulla base di ciò che abbiamo imparato in questi mesi?

Ovviamente sì. Noi in Veneto abbiamo fatto questa esperienza decisiva: fino a che non ci sarà il vaccino tracciare è il rimedio più efficace per convivere con il virus.

Andrea Crisanti, ordinario di Microbiologia dell'Università di Padova, è considerato universalmente come l'uomo che ha scongiurato la deflagrazione di un'epidemia di Covid in Veneto. È arrivato all'epidemiologia partendo dalla lotta alla malaria. Ha lavorato in Svizzera, Germania, Inghilterra, poi è tornato in Italia. È lui che ha realizzato uno degli studi più importanti sul Covid, con l'analisi del campione di Vo' Eugeneo, uno dei primi paesi chiusi da una zona rossa.

Professore cosa ha imparato da quella esperienza di Vo' Eugeneo?

Io? Tutto quello che so del Covid. Quanti sono i sintomatici e gli asintomatici, come si propaga il virus e con quale velocità.

Lei è convinto che il lockdown totale sia stata una scelta giusta.

Non c'era alternativa. Con il tasso di vitalità e la velocità di duplicazione che avevamo, il Veneto avrebbe fatto la fine della Lombardia: era solo un'equazione matematica.

È merito suo se il Veneto è riuscito a fare, in proporzione, più tamponi di qualsiasi altra regione?

È stato un lavoro di squadra. Però è vero che avevo visto, a Londra, una macchina che secondo me avrebbe permesso di fare i test in modo rapido e senza problemi di approvvigionamento.

E siete riusciti ad averla in tempo, prima che esplodesse l'emergenza.

Ce n'era solo una disponibile in tutta Europa, era un problema anche installarla, alcuni imprenditori della nostra regione hanno fornito il personale per installarla a tempo di record. In pochi giorni era attiva. Il Veneto è anche questo!

E poi vi siete anche comprati i reagenti necessari prima che sparissero dal mercato. E potevate fare più tamponi perché non avevate un sistema «chiuso».

Abbiamo potuto farlo perché all'università avevamo il know how per processare quei test. È stata una bella sfida.

Come ci è arrivato?

Non è stata un'intuizione geniale. Tutte le mie esperienze passate mi dicevano che quando scoppia un'epidemia ogni reagente diventa introvabile.

Il professor Andrea Zangrillo, con una punta di sarcasmo, la chiama «il medico delle zanzare».

Questo epiteto non mi offende minimamente. Io dalle zanzare, cioè dallo studio della malaria, ho imparato tantissime cose che mi sono state utilissime in questa pandemia.

Per esempio?

Non esiste mai un virus astratto, che opera seguendo regole e principi definiti. Ogni epidemia si cala sul territorio e interagisce con le condizioni che trova.

Spieghi meglio.

Le vite delle persone, le loro professioni, il loro accesso alla mobilità, il loro stato sociale. Questo cambia l'effetto di ogni epidemia. Non a caso la malaria era un problema sanitario, ma anche sociale.

Anche con il Covid è stato così?

È sulla base di questi dati, quando potremo studiarli scientificamente,
che scopriremo perché il Nord è stato più flagellato del Sud, perché Bergamo più di Roma.

Mi dica una preoccupazione che lei ha messo a fuoco in questi ultimi mesi.

La più grande? Se ci sarà un ritorno del virus ci colpirà in modo sempre più asimmetrico.

Ovvero?

I poveri saranno meno protetti dei ricchi, i piccoli più dei grandi. In Veneto, per esempio, io sono molto preoccupato per gli artigiani, che hanno meno risorse da investire rispetto alle grandi industrie.

Lei come spiega il dato di questi ultimi giorni, secondo cui l'Italia risulta essere l'unica anomalia, circondata da Paesi in cui il tasso di contagio è esploso?

In primo luogo non bisogna abbassare la guardia perché i nostri contagi sono raddoppiati rispetto a poche settimane fa.

E poi?

(Sospiro). A essere del tutto sinceri? O stiamo facendo molto molto bene, o non stiamo contando bene i casi.

Cioè?

Il numero dei tamponi di questi giorni, in Italia, è molto basso e non si sa a chi vanno fatti.

Cosa intende?

Se il 50 per cento dei test noi lo dedichiamo, giustamente, alle attività di sorveglianza del personale medico, la conseguenza è che restano molti pochi tamponi dedicati alla ricerca di nuovi casi. E più questi tamponi sono bassi, meno è attendibile il campione che abbiamo.

Come si può scoprire se il problema è questo?

È necessario capire come stanno facendo in queste ore i tamponi in Francia, Germania, Spagna e Israele, ovvero i Paesi dove oggi si registra un forte aumento dei casi. Dobbiamo verificare se c'è davvero un'anomalia positiva, o se è un problema di misurazione.

Ma lei pensa che ci sarà una seconda ondata?

Bella domanda! È quello che ci chiediamo tutti. Se le devo rispondere lo faccio così: ci saranno sicuramente nuovi cluster, tante diverse piccole zone rosse da circoscrivere, delimitare, tracciare. Se saremo bravi e sapremo farlo bene e tempestivamente, potremo evitare un nuovo lockdown.

Pochi giorni fa Vladimir Putin ha annunciato il suo vaccino, lo Sputnik 5. Ha detto di averlo testato anche sulla figlia.

(Sospiro). Mi permetta di fare un augurio a questa ragazza, e a tutti gli altri sperimentatori.

In che senso?

Allora: di questo vaccino, dal punto di vista scientifico, noi non conosciamo nulla: non un solo dato. Però un vaccino è una cosa molto complessa, e la sua preparazione richiede tempi molto lunghi, soprattutto per la sperimentazione sugli umani.

Quindi lei dubita di Sputnik 5?

Dico che un vaccino si può fare in tempi rapidi tagliando alcuni periodi di sperimentazione per arrivare prima, ma che questo è un grandissimo errore.

Spieghi perché...

Perché bisogna avere una base dati ampia per avere la certezza che non ci siamo effetti collaterali. Altrimenti un vaccino che non è sicuro e testato diventa un grande regalo al popolo dei «no-vax».

Torniamo alla scuola: mascherine anche per i ragazzi più piccoli?

Vuole la risposta sincera? No.

No? Proprio lei, che crede in questo dispositivo?

Sì, la mascherina protegge. Ma vale il discorso di prima: se poi sappiamo con certezza matematica che questi ragazzi fuori da scuola si abbracceranno, si picchieranno, giocheranno insieme, che senso ha?

Finestre aperte in classe anche d'inverno?

Ma che scherziamo? Così facciamo ammalare tutti...

Dicono che è per il ricambio d'aria.

Per fare questo bastano piccoli dispositivi di ricambio, tipo «Pinguino», per capirci, che favoriscono il ricambio dell'aria negli ambienti chiusi.

E poi cos'altro?

È molto importante che i dirigenti scolastici abbiamo accesso ai dati sanitari dei territori, e possano sospendere dalla frequenza diretta tutti gli studenti che si ritrovano dentro le future zone rosse.

Un provvedimento drastico.

Vero. Ma è anche l'unico possibile per non avere la certezza di vanificare ogni sforzo e di diffondere il contagio.

Quindi, ricapitolando: 1) misurazioni omogenee a scuola; 2) mascherina solo per i ragazzi più grandi; 3) ventilazione delle aule; 4) anagrafe degli studenti nelle zone rosse. C'è altro?

La tempestività nel sospendere dalla frequenza i ragazzi malati o positivi, spostandoli sulla didattica a distanza.

E la differenza tra il «metro statico» e il «metro dinamico» nelle classi? Dicono che si abbassa il tasso di contagio se si calcola chi è seduto fermo nei banchi e chi si muove.

Già, e come ci arrivano al «metro statico» seduti nel banco, i ragazzi? Volando? Mah...

E le famose «rime buccali», grazie a cui per il Cts si calcola il distanziamento dei banchi partendo dalla misura metrica virtuale che separa non i corpi ma le bocche?

(Risata). Mi scusi, ma questi mi paiono temi e sofismi buoni per le fattucchiere o per gli azzeccagarbugli: io, per mia fortuna, faccio ancora l'epidemiologo.

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