Lo rivela un’indagine della Cgil. Sono i dipendenti attualmente in cassa integrazione. Particolarmente colpiti i settori dei servizi, commercio e turismo
PADOVA. Dal prossimo gennaio quasi 26 mila lavoratori padovani attualmente in cassa integrazione rischiano di ritrovarsi disoccupati. È la cifra più allarmante di un’indagine elaborata dalla Cgil di Padova su dati previsionali nazionali, che si basano sull’andamento della domanda e sugli aggiornamenti Istat e indicano come in Italia il numero di lavoratori a potenziale rischio licenziamento si aggiri tra il milione e il milione e mezzo di persone.
Per Padova, che con 420 mila lavoratori rappresenta 1, 73% a livello nazionale, i potenziali disoccupati oscillano così tra i 17 mila, nella migliore delle ipotesi, e i 26 mila ovvero dal 4% al 6% del totale provinciale. Particolarmente cupo è l’orizzonte nei servizi e soprattutto nel commercio e nel turismo, settori che nel Padovano sono da sempre trainanti e non a caso incidono per due terzi sul totale dei lavoratori a rischio.
È stato evitato un autunno caldissimo grazie al prolungamento delle misure di sostegno al reddito attualmente in atto. Ma per il presidente della Cgil provinciale Aldo Marturano non basta: «Serve una fase di cambiamento con i soldi in arrivo dall’Europa».
In base alle cifre in mano alla Cgil di Padova, al 20 luglio del 2020, sono 94. 476 i lavoratori della provincia di Padova che hanno fatto ricorso ad una qualche forma di ammortizzatore sociale. Di questi 53. 370 hanno avuto accesso alla Cassa integrazione guadagni ordinaria (Cigo), 11.695 sono in Cassa integrazione guadagni in deroga (Cigo), 11. 163 quelli affidati al Fondo d’integrazione salariale (Fis) e 18. 248 i lavoratori che hanno utilizzato il Fondo salariale bilaterale dell’artigianato (Fsba). Il 90% delle richieste di ammortizzatori sociali è avvenuta tra febbraio e marzo, quando tutto il Paese – con poche eccezioni – si è fermato per il diffondersi della pandemia, ed è dunque possibile che alcuni dei lavoratori coinvolti siano nel frattempo tornati a lavorare. Nonostante ciò il potenziale impatto in termini di disoccupazione è altissimo.
Quasi due padovani su tre sono occupati nei servizi: il 64% dei 420 mila lavoratori totali della provincia, mentre il 34% lavora in manifattura (di cui il 5% nell’edilizia). «Le realtà più a rischio in questo comparto sono quelle legate al commercio. Negozi, bar, ristorazione, alberghi, turismo, che danno lavoro a circa 89 mila padovani (21%), sono le categorie più esposte nell’attuale scenario. Il resto dei servizi invece, cioè logistica, servizi finanziari, servizi alla persona, pulizia e vigilanza, non sono in crisi», sottolinea Marturano, «Ma il bacino termale euganeo da solo riguarda 1. 500 assunti e 2 mila precari, con l’indotto si arriva a 5 mila lavoratori, in maggioranza a casa. Molti bar sono in crisi sia per l’emergenza sanitaria sia perché molti dei loro clienti sono in smart working. Il settore più colpito è di gran lunga questo».
Se fosse confermata la peggiore delle ipotesi, di 26 mila lavoratori a rischio, per commercio e turismo la ricaduta sarebbe di 17 mila disoccupati, contro 8. 600 delle industrie e dell’edilizia. «Nel manifatturiero l’ambito più esposto è quello dell’automotive, essendo una regione esportatrice di componentistica. Ma anche il tessile, l’acciaio e l’edilizia faticano a ripartire», rimarca Marturano, «L’Istat ha fatto un’indagine a campione secondo cui il 38, 8% delle imprese italiane temono non arrivare a fine 2020, soprattutto piccole e micro imprese. E in provincia di Padova la media lavoratori per impresa è di 3, 7».
La Cgil sollecita un intervento globale accanto alle misure contingenti che sono state appena adottate e che hanno evitato una vera e propria “strage” di occupati, secondo quando sostenuto da Cgil. «Non nascondiamoci dietro a un dito, bisogna avviare fase cambiamento», auspica Marturano, «I soldi dell’Europa ci sono, arriveranno nel prossimo biennio. Oggi però bisogna lavorare per favorire un cambiamento. Turismo e commercio nella nostra regione si basano in buona parte sul turismo di massa. Ci deve essere una conversione, pianificata, in direzione dell’offerta di qualità e in collegamento con quanto offre la cultura. Il piccolo da solo non ce la fa, serve aggregazione. E le aziende produttrici dovranno fare altrettanto, puntando su innovazione e sviluppo sostenibile. Padova ha la fortuna di avere un’università prestigiosa ed avanzata. Sta per nascere il competence center, per lavorare sulla sperimentazione di progetti basati sull’innovazione della filiera. Lo dicevamo anche prima del covid, ora è necessario e non c’è più l’alibi delle risorse. Dobbiamo cogliere la sfida» . —