Il Tap, contestata opera dal governatore pugliese Michele Emiliano e dai Cinque stelle, è ormai terminato. E il suo impatto sulla spiaggia di San Foca a Melendugno, in provincia di Lecce, è nullo.
Trenta euro al giorno per lettino e ombrellone». «Bene, il posto è davvero bello. Ma non è qui che passa il gasdotto?». «Un po' più in là» risponde Andrea indicando un luogo imprecisato oltre le file di ombrelloni. «Ma è sottoterra, non si vede» aggiunge. «E i lavori non vi hanno dato fastidio?». «No». «I clienti non hanno paura?». «Qualche famiglia con bambini non è venuta, ma penso che tra un paio di anni tutti si saranno scordati del gasdotto». Saluto il giovane alla cassa del Lido San Basilio e mi dirigo verso la spiaggia: lo stabilimento balneare è affollato, la gente fa il bagno o chiacchiera sui lettini. Il mare è splendido qui a San Foca, comune di Melendugno, provincia di Lecce.
Sotto i miei piedi, a 16 metri di profondità, c'è l'ultima parte di un tubo lungo circa 3.550 chilometri che parte nel lontano Azerbaijan. Dal prossimo autunno questa colossale infrastruttura che attraversa Georgia, Turchia, Grecia e Albania, porterà in Italia fino a 10 miliardi di metri cubi di gas all'anno, pari al 12-13% del nostro fabbisogno di metano. La costruzione dell'opera è suddivisa in tre tronconi e il Tap (Trans adriatic pipeline) ha gestito la realizzazione del blocco più occidentale che parte dal confine greco-turco e arriva in Italia: percorre 878 chilometri di cui 550 in Grecia, 215 in Albania, 105 sotto l'Adriatico e appena otto in Puglia.
Già nelle prossime settimane il gas inizierà a scorrere dentro il tubo per spuntare poi nel terminale di ricezione nell'interno della campagna, per fare i primi test in vista del collegamento con la rete nazionale della Snam. Qui al mare non si nota nulla di particolare, tranne una boa gialla che spunta in lontananza. Chiedo a un gruppo di ragazzi seduti vicino al bar del Lido se sanno qualcosa del Tap: sì, lo conoscono, dicono che passa lì da qualche parte ma non sembrano molto interessati. «Avete paura?». «In Italia si sono un sacco di tubi con il gas, mica esplodono» replica uno di loro. Una coppia di signore sedute sul bagnasciuga si gode il paesaggio: una delle due sa che da quelle parti c'è un gasdotto, l'altra cade dalle nuvole.
Come ci si poteva aspettare, la spiaggia e la riva sono intatte. Del resto, anche la costa della Romagna è attraversata da anni da numerosi gasdotti che portano a terra il metano estratto nelle piattaforme in mare e i turisti non si accorgono di nulla. Ma qui a Melendugno la costruzione del tubo si è trasformata in uno scontro violento che ha visto il movimento «No Tap» e i sindaci fronteggiare con tutti i mezzi l'opera, con l'appoggio via via meno convinto del Movimento Cinque stelle e con il presidente della Regione Michele Emiliano che, tardivamente, insisteva per spostare l'approdo a Brindisi. Uno scenario simile a quello della Val Susa contro la Tav, con la polizia schierata davanti ai cantieri e accuse di ogni tipo lanciate (insieme ai sassi) contro la società costruttrice.
Per quattro anni, da quando sono iniziati i lavori, la propaganda Nimby (Not in my backyard, non nel mio cortile) ha martellato l'opinione pubblica prefigurando un disastro ambientale: in prima fila il sindaco di Melendugno, Marco Potì, che stigmatizza «la follia di questa opera che mette a repentaglio la sicurezza dei pugliesi». Il 2 aprile 2017, durante un comizio a San Foca, il leader grillino Alessandro Di Battista prometteva che in caso di vittoria alle elezioni il Movimento avrebbe impedito la realizzazione del Tap. Nel novembre del 2017 l'europarlamentare dei Cinque stelle Rosa D'Amato dichiarò a Strasburgo che il gasdotto «sta devastando un intero paesaggio, un'economia, il turismo. Ha estirpato centinaia di ulivi».
Una battaglia che non si è mai fermata. Nello scorso mese di gennaio Emiliano ha minacciato: «Chiederemo a Tap un risarcimento miliardario per il danno d'immagine causato alla Puglia con la costruzione del gasdotto a Melendugno». E il sindaco Potì non ha voluto incontrare i manager del Tap per discutere degli interventi sociali e ambientali (si parla di 15 milioni) che la società è pronta a mettere sul piatto: in Albania sono state rimesse a nuovo una decina di scuole, mentre in Grecia con i soldi del Tap sono stati acquistati nuovi mezzi di emergenza come autoambulanze e camion dei pompieri.
In sintesi, chi contesta l'infrastruttura basa le sue critiche su tre elementi: provoca gravi danni alla spiaggia e al turismo; distrugge migliaia di ulivi; porta in Italia una fonte fossile che contribuisce ad aumentare la CO² nell'atmosfera e a surriscaldare il pianeta. Per quanto riguarda la prima accusa, l'impressione è che il danno di immagine a una costa così bella l'abbia fatto proprio il movimento «No Tap» e i Cinque stelle, cercando di terrorizzare i turisti descrivendo un disastro che non c'è. Per quanto riguarda gli ulivi, percorrendo le strade comunali che incrociano il tracciato del gasdotto, si scorge una lunga striscia di terreno, larga una ventina di metri, ricoperta di terra, che sfila per poco meno di otto chilometri tra gli alberi. Qui il gasdotto è a circa un metro e mezzo di profondità.
Per poggiare i tubi sono stati espiantati 1.800 ulivi: ogni albero è stato geolocalizzato per rimetterlo al suo posto a lavori ultimati e poi trasportato in un'area protetta vicino al terminale di ricezione. Tutta la zona è coltivata a ulivi e la maggioranza è affetta dalla Xylella, la malattia che sta decimando questi alberi centenari e che è stata affrontata in Puglia in modo quantomeno discutibile. Quindi alla fine l'effetto della costruzione del Tap sugli ulivi sarà paradossale: gli unici alberi sani della zona saranno proprio quelli che da novembre verranno re-impiantati lungo il percorso del gasdotto. Vedremo per quanto tempo resteranno sani.
Un altro impatto negativo sul paesaggio sarebbe potuto venire dal terminale di ricezione, una struttura di 12 ettari a forma trapezoidale realizzata su un terreno a pascolo. I lavori sono ancora in corso. All'ingresso stazionano quattro furgoni e un paio di jeep della polizia: per proteggere il cantiere sono ancora impegnati (e pagati dai contribuenti italiani) una quarantina di agenti per turno, su tre turni. Il gas verrà filtrato in questo luogo, la pressione equilibrata e poi il metano smistato sulla rete nazionale. Rispetto alle pale eoliche che svettano a qualche centinaia di metri di distanza, l'impatto del terminale sul paesaggio è francamente modesto.
Ma ha senso importare gas quando tutto il mondo sta cercando di ridurre i consumi di idrocarburi? E poi, quando Panorama chiese agli esperti russi della concorrente Gazprom un giudizio sul Tap, essi dissero che il gas dell'Azerbaijan era nettamente più costoso del loro. Luca Schieppati, dal 2017 managing director del Tap, replica ricordando che «nel processo di decarbonizzazione dell'economia, il gas rappresenta una tappa fondamentale. Produce meno CO² di altre fonti energetiche e se ne farà un uso maggiore nella produzione di elettricità e nei trasporti, anche navali. Il metano è di supporto alle rinnovabili che da sole per ora non possono coprire i nostri consumi energetici».
Inoltre, sostiene il manager, «il Tap aumenta la sicurezza dell'approvvigionamento di gas, aggiungendo una nuova offerta alle forniture provenienti da Russia, Algeria, Libia e Nord Europa, i cui giacimenti sono in via di esaurimento. Maggiore è l'offerta di gas, minori sono i costi a carico dei consumatori». Sul prezzo del gas azero i dati non sono pubblici ma Enel, Hera ed Edison hanno firmato contratti per 3,5 miliardi di metri cubi all'anno, mentre altri 5 miliardi dovrebbero essere acquistati da clienti tedeschi, francesi, belgi e svizzeri per il mercato italiano ed europeo. Non solo: se la domanda aumenterà, il gasdotto è costruito per raddoppiare il flusso a 20 miliardi di metri cubi all'anno e trasportare anche idrogeno e biometano. Vedremo se il mercato ne chiederà tanto.
