In alcune aree largamente colpite dal Covid-19 si sarebbe in prossimità di raggiungere l'immunità di gregge, secondo quanto emerge da alcune ricerche preliminari. A causa della ampia diffusione del contagio, compresi gli asintomatici o paucisintomatici. Secondo uno studio in prepubblicazione dell'Università di Oxford che ha analizzato linfociti tipo T, che proteggono dal coronavirus, il 35% della popolazione li avrebbe già sviluppati per aver contratto raffreddori causati da altri coronavirus nei mesi antecedenti la pandemia di Sars-CoV-2. I ricercatori, diretti da José Lourenço, stimano che in Italia settentrionale e in alcuni quartieri di Madrid e di New York, ovvero le aree più colpite dal Covid-19, si sarebbe molto vicini al raggiungimento dell'immunità di gregge che si ottiene grosso modo quando circa il 75% della popolazione ha gli anticorpi.
Che cos'è l'immunità di gregge
Per immunità di gregge, o di gruppo, si intende quella situazione in cui i soggetti immuni a un determinato patogeno – immuni perché lo hanno già contratto o sono stati vaccinati - rendono difficile al virus la diffusione nel resto della comunità, immunizzando indirettamente anche quei pochi soggetti che, in una determinata popolazione, non sono stati ancora esposti. L'immunità nei singoli individui si determina nel momento in cui l'organismo sviluppa efficaci anticorpi alla malattia. Nel caso del Covid-19, non essendo stato ancora fornito un vaccino, ciò avviene in seguito al contagio. L’immunità di gregge si ottiene quindi quando una certa percentuale della popolazione è immunizzata e viene raggiunta una soglia di immunità, che è diversa da malattia a malattia e, per quelle più contagiose come appunto il Sars-CoV-2, è alquanto elevata. In certi casi di malattie altamente infettive si considera al sicuro l’intera popolazione quando il 95% di essa risulta immune, percentuale che motiva per certe patologie campagne vaccinali molto ampie.
Tuttavia se una quota di popolazione è già immune, lo scarto per superare la soglia minima del 50% di immuni per poter iniziare ad ottenere l'immunità di gregge si riduce; e per i ricercatori di Oxford, il cui studio è prepubblicato su medRxiv, una parte della popolazione già non trasmetterebbe il Sars-CoV-2 grazie alla protezione cosiddetta incrociata, determinata dai quattro coronavirus stagionali che provocano raffreddori e influenze e hanno indotto la resistenza immunitaria in una parte della popolazione. A queste conclusioni sono giunti comparando la sieroprevalenza col numero di decessi cosiddetti cumulativi, dati che suggeriscono che esista già una immunità di gregge sufficiente a mitigare gli effetti di un'eventuale seconda ondata.
Il secondo studio
Analoghe indicazioni arrivano da un altro articolo di sintesi, pubblicato sulla rivista Nature Reviews Immunology dagli esperti del Center for Infectious Disease and Vaccine Research presso La Jolla Institute for Immunology, secondo il quale alcune persone potrebbero presentare un grado di protezione sconosciuto pur senza essere state a contatto con il virus: una buona parte della popolazione potrebbe avere cellule immunitarie in grado di riconoscere il Sars-CoV-2, forse - sulla scia di quanto osservato anche a Oxford - per essere entrati in contatto con i coronavirus «cugini» che causano raffreddori. Al Center for Infectious Disease and Vaccine Research americano è stato rilevato che il 50% dei soggetti che non sembravano essere stati esposti al coronavirus presentava comunque una reattività delle cellule T, quelle che l’organismo produce a seguito di un’infezione per poter riconoscere lo stesso patogeno. I ricercatori hanno confrontato campioni di sangue prelevato da pazienti Covid-19 con campioni prelevati a San Diego tra il 2015 e il 2018 certi che questi ultimi non fossero stati esposti a Sars-CoV-2 e invece la metà presentava la reattività. Anche loro ritengono che una possibile spiegazione possa essere l’esposizione precedente a uno dei quattro coronavirus circolanti noti che causano il raffreddore comune in milioni di persone ogni anno. I coronavirus sono una famiglia e l'ipotesi è quindi che, anche quando si manifesta un nuovo ceppo, le cellule T sappiano già come reagire a questa famiglia manifestando quella resistenza che rende i sintomi meno gravi in taluni pazienti. Tuttavia per gli esperti il ruolo delle cellule T nei confronti dell’infezione di Sars-CoV-2 deve essere ancora studiato a fondo tanto che si ipotizza che se da un lato le cellule T possono mitigare gli effetti del Covid-19, portandolo a svilupparsi in forma lieve o asintomatica, in altri soggetti potrebbe provocare una reazione immunitaria eccessiva. Questi studi possono anche tornare utili per la messa a punto di un vaccino.
Dove siamo vicini all'immunità di gregge
Ma il dato incoraggiante è che queste osservazioni suggeriscono che l’immunità di gregge potrebbe essere raggiunta più precocemente del previsto perché esiste già uno «zoccolo duro» di resistenza antivirale in una larga fascia di popolazione ed è pertanto sufficiente un più esiguo numero di contagi rispetto a quanto inizialmente stimato per varcare la soglia dell'immunità di gruppo, che muterà semmai in base alla velocità con cui il virus si diffonde attraverso diverse comunità e popolazioni. E dove questa diffusione è stata alta, come appunto in Lombardia, a Madrid o a New York, quella soglia sarebbe già molto vicina, sebbene gli esperti sottolineano che ancora si sa poco del coronavirus la cui famiglia ha le caratteristiche di manifestare una certa ciclicità.