Studio di Intesa SanPaolo sulle sfide del post Covid 19. Tra i punti di debolezza anche la difficoltà a comunicare
VENEZIA.
Esportazioni in aumento e vini di qualità, territorio, denominazioni altamente controllate, grande diversità di vitigni. Opportunità per la crescita della domanda mondiale nella fascia media e alta, nuovi trend di consumo degli under 35, e-commerce, ricerca di genuinità e sostenibilità. Ma attenzione a concorrenza francese, cambiamenti climatici e impatti varietali, incertezza per Brexit, dazi e Asia, incremento della produzione americana e in Estremo Oriente. Infine, per sfondare all’estero, sarà necessario limare i punti deboli e cioè la difficoltà a comunicare le specificità, la frammentazione delle aziende, i pochi brand affermati, la ritrosia a costruire reti di impresa per sfruttare sinergie logistiche, produttive e commerciali.
Queste le basi della ripartenza per il vino, secondo lo studio di Intesa SanPaolo sulla situazione del settore Triveneto dopo l’emergenza Covid-19.
Il Veneto svetta in tutte le classifiche e, al netto delle trasformazioni – ancora scarsamente prevedibili– che l’epidemia globale provocherà nel settore , parte da una posizione di forza. Ha comunque al suo interno ancora molto da imparare. Sia, ad esempio, dai concorrenti francesi che all’interno dello stesso mercato nazionale. Se Treviso è il maggiore produttore, sfiorando lo scorso anno i 5 milioni di quintali di vino mentre Verona non raggiungeva i 3, nella capacità di esportazione gli scaligeri fanno mangiare la polvere alla Marca, portando a casa oltre un miliardo di fatturato a fronte dei 750 milioni della terra del Prosecco. Ma il Veneto , nel suo complesso, deve farsi insegnare dai piemontesi come ci si impone sui mercati esteri , viste le performance raggiunte nell’arco di dieci anni dai vini delle Langhe, Roero e Monferrato.