Lo storico udinese Guido Crainz vede una forte similitudine con lo stesso gesto tra Mitterrand e Kohl a Verdun
«Le immagini viste in tv sono intense ed emozionanti, rappresentano un momento straordinario. Sono una svolta importantissima per il confine orientale». Il professor Guido Crainz, friulano, docente universitario di storia contemporanea e collaboratore di prestigio di “Repubblica”, non ha dubbi sull’eccezionalità della visita a Trieste dei presidenti Sergio Mattarella per l’Italia e Borut Pahor per la Slovenia.
Professor Crainz per gli appassionati di storia i due presidenti mano nella mano a Basovizza evocano la medesima, potente, immagine di Kohl e Mitterrand a Verdun, nel 1984. È un paragone plausibile?
«Ci sono la stessa forza e le stesse emozioni. I due capi di Stato davanti alla corona d’alloro per le vittime, corona che porta le insegne di entrambe le nazioni. È accaduto oggi, accadde nel 1984 a Verdun. Allora erano passati 70 anni dall’inizio della Prima guerra mondiale e per giungere alla riappacificazione tra francesi e tedeschi non ci volle poco tempo. Mattarella e Pahor hanno ricordato le vittime della nostra storia, i nostri dolori. Un gesto fuori dal protocollo, ancora più significativo. Come fu quello dell’allora cancelliere tedesco Brandt che si inginocchiò nel ghetto di Varsavia chiedendo perdono. E poi è doveroso sottolineare le bandiere: italiana, slovena e dell’Ue. Senza Europa non ci sarebbero state nemmeno le altre due insieme. A questo giorno non ci saremmo arrivati senza la prospettiva dell’Europa».
Quando comincia il percorso?
«Da molto lontano. Il primo a parlare di riconciliazione fu l’ex presidente della Commissione Ue Romano Prodi, il primo maggio 2004, a Gorizia, in occasione della festa per l’ingresso della Slovenia nell’unione. E tra le autorità, a rappresentare la Slovenia fu proprio Borut Pahor, che all’epoca era presidente del parlamento a Lubiana. In seguito Ciampi avviò un percorso, ma ci furono resistenze e contrapposizioni. Nel 2010 altra tappa determinante fu il concerto dell’amicizia tra Italia, Slovenia e Croazia diretto dal maestro Riccardo Muti. I capi di Stato Napolitano, Turk e Josipovic, resero omaggio al Narodni Dom di Trieste e al monumento all’Esodo. Ma per la foiba di Basovizza, il 2010 era evidentemente ancora troppo presto».
Violenze, divisioni, pulizie etniche sul confine orientale tra italiani e slavi possono sfociare nella cosiddetta “memoria condivisa”?
«A mio avviso è assurdo parlare di memoria condivisa. Non ci può essere perchè si tratta di fatti, circostanze ed episodi vissuti da carnefici e da vittime, in momenti diversi, da entrambe le parti. Però, e a questo dobbiamo giungere, è possibile una comprensione della memoria e della storia dell’altro. Ecco, dobbiamo fare nostre le ragioni dell’altro, comprendere che dall’altra parte ci sono stati dolori e sofferenze, esattamente come li abbiamo patiti noi».
Adesso, per il futuro, che obiettivo dobbiamo porci?
«Bisogna avere una prospettiva che si fondi sull’Europa unita. Il processo di pacificazione italo-sloveno ha avuto battute d’arresto che corrispondono alle battute d’arresto del processo europeo. Penso all’Ungheria di Orban o al nazionalismo in Croazia».
A proposito, sarà mai possibile coinvolgere anche Zagabria in questo percorso?
«Mi sembra che in questo caso le difficoltà siano molto grandi. Una ventina di anni fa, fu istituita una commissione storica italo-croata, ma non riuscì neppure a cominciare, mentre quella con la Slovenia diede i suoi frutti. In tanti Paesi europei ci sono passi indietro, il sovranismo è il vecchio e vergognoso nazionalismo, che vuol far vedere il proprio popolo solo come vittima, mentre tutti gli altri popoli sono cattivi».
I cittadini italiani e sloveni sapranno dire definitivamente addio ai vecchi rancori?
«Quello che deve succedere, è che la società civile stia al passo dei due presidenti che ieri si sono dati la mano. Bisogna insegnare e ricordare il 10 febbraio in tutte le sue sfaccettature, come storia del Novecento».
In questo contesto si inserisce il dramma dell’esodo da Istria e Dalmazia.
«Vero, anche i 350 mila italiani che fuggirono da quelle terre, a pieno diritto entrano in quel quadro. Il terrore scatenato dalle foibe li fece scappare, li fece lasciare da un giorno all’altro le loro case, i loro beni, tutta la loro vita». —
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