FERRARA. Cosa succede al lavoratore che si ritrovi positivo al test sierologico effettuato da un laboratorio privato? La sgradevole sensazione di “limbo” nell’inquadramento lavorativo che inizia al momento della comunicazione di positività e finisce solo con l’esito del tampone, confermativo o no, è stato sperimentato da diversi lavoratori ferraresi, che non si potevano dire in malattia ma erano costretti dal protocollo regionale sui test all’isolamento volontario, quindi a non andare al lavoro. I medici di famiglia si chiamano fuori, «non possiamo assolutamente firmare certificati di malattia», dice il presidente Bruno Di Lascio, mentre la Cgil, che ha seguito alcuni casi specifici, consiglia di chiedere direttamente all’Asl.
PUNTI FERMI DEI MEDICI
L’Ordine dei medici, a Ferrara, dà indicazioni molto nette: «Non solo i medici non possono firmare certificati di malattia, perché appunto non si tratta di questo e si potrebbe incorrere in reati di falso ideologico e truffa, ma non sono nemmeno tenuti a dare indicazioni in merito ai lavoratori - insiste Di Lascio - Non possiamo certo influenzare l’eventuale volontà degli assistiti nei confronti del test. A chi spetta il compito di gestire la fase di attesa del tampone? C’è evidentemente differenza tra chi lo svolge per conto proprio e chi è coinvolto in uno screening aziendale, ma in ogni caso i medici di famiglia non possono essere coinvolti, solo informati».
IL SUGGERIMENTO
Nell’incertezza normativa attuale, che anche la Regione ha riconosciuto debba essere sanata da un intervento del governo, i sindacati rivelano di aver essere stati chiamati ad affiancare i lavoratori che, ad esempio nel Comune di Ferrara, si sono trovati in una situazione mai sperimentata, di “limbo” appunto. «Abbiamo tentato di avere risposte dalla Regione, che ha stilato il protocollo per i test, e dalla stessa sanità locale - dice Natale Vitali (Fp Cgil) - Poi, visto che le risposte non arrivavano, abbiamo suggerito ai lavoratori di inviare una mail all’Asl, descrivendo la situazione e chiedendo direttamente loro cosa fare, se cioè devono ritenersi trattati come quarantene vere e proprie». Il problema si pone, a posteriori, per chi paradossalmente risolve in fretta la propria situazione, con un singolo tampone negativo, perché in caso di positività «il periodo precedente viene considerato automaticamente infortunio sul lavoro, sulla base delle indicazioni Inail, e gestito come ricovero ospedaliero, senza quindi trattenute in busta paga» sottolinea ancora Vitali. Sciogliere i nodi in fretta può incidere sull’atteggiamento dei lavoratori nei confronti dei test. —
