Nessuna negligenza, nessuna superficialità o lentezza. Il pg della Cassazione, Giovanni Salvi, ha chiesto il proscioglimento per il pubblico ministero Alessandra D’Amore che si occupò delle indagini sul caso di Marco Vannini e contestò l’omicidio con il dolo eventuale poi riconosciuto in Cassazione. Era stato il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, ad avanzare tre mesi fa un’azione disciplinare nei suoi riguardi ritenendo “superficiali” i rilievi svolti nei momenti successivi allo sparo costato la vita al giovane 20enne la sera del 18 maggio 2015 nella villetta dei Ciontoli, a Ladispoli. All’epoca i legali dei genitori della vittima sembrarono stupiti: “Non vogliamo commentare iniziative disciplinari, ma ci limitiamo a dire che in primo grado le indagini sono state svolte in modo da raccogliere una montagna di elementi più che sufficienti a dimostrare la colpevolezza degli imputati. Nel caso va valutato il comportamento dei giudici – aveva detto l’avvocato Celestino Gnazi, legale dei genitori di Marco Vannini.- Il pubblico ministero nel processo di primo grado ha portato avanti ’accusa di omicidio volontario per tutta la famiglia Ciontoli e non era scontato. Così come non era scontato e semplice presentare un ricorso in appello”. Ma innescare l’azione era stata proprio la mamma della vittima presentando un esposto dopo la sentenza di secondo grado che aveva derubricato l’accusa.
Lo scorso 17 febbraio il pg aveva deciso di ascoltare Alessandra D’Amore, assistita dal difensore e procuratore aggiunto di Roma, Stefano Pesci. Poi era stata la volta di Gianfranco Amendola, procuratore capo di Civitavecchia nel 2015 (ora in pensione), convocato come persona informata sui fatti e pronto nell’interrogatorio a difendere l’operato del pm D’Amore. Così come pubblicamente a protezione del pubblico ministero si era esposto anche Andrea Vardaro, attualmente alla guida della Procura di Civitavecchia che in una lunga nota aveva elencato tutti i passaggi delle indagini compresa la cronologia.
Il prossimo 8 luglio si tornerà in aula per l’appello-bis come deciso dalla Cassazione lo scorso 7 febbraio.Torneranno in aula, dunque, anche Maria Pizzillo, moglie del sottufficiale della Marina militare distaccato ai servizi segreti (e sospeso dal servizio in seguito alla vicenda giudiziaria) e i figli Federico e Martina. Gli ermellini hanno accolto così la richiesta della procura generale secondo cui si trattò di un omicidio volontario con dolo eventuale. Perché la morte di Marco, come sostenuto dalle consulenze mediche (anche della difesa), si sarebbe potuta evitare ma, invece, è stata causata non solo dal colpo esploso, ma anche dai ritardi nei soccorsi, dovuti a loro volta a una serie di bugie e depistaggi da parte, in primis, di Antonio Ciontoli. Ad aver presentato reclamo ai supremi giudici sono stati il sostituto procuratore della Corte di Appello di Roma, Vincenzo Savariano e i genitori di Marco Vannini, Marina Conte e Valerio Vannini, contrari alla riduzione di pena arrivata in appello, il 29 gennaio 2019, in favore di Antonio Ciontoli. L’uomo aveva ottenuto in secondo grado la riduzione della condanna emessa dal Tribunale di Roma il 18 aprile 2018, da 14 a 5 anni di reclusione. In appello l’omicidio volontario era stato derubricato in omicidio colposo. Una sentenza che aveva suscitato molte polemiche. Sia in primo che in secondo grado, invece, erano rimaste immutate le condanne per omicidio colposo a tre anni di reclusione ciascuno per Maria Pezzillo e i figli Federico e Martina Ciontoli. Il procuratore generale, in secondo grado, aveva chiesto 14 anni di carcere per tutta la famiglia finita sul banco degli imputati e la conferma dell’assoluzione di Viola Giorgini, fidanzata di Federico.
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