Queste streghe della serie Netflix “Luna nera“, diretta da Francesca Comencini, Susanna Nicchiarelli e Paola Landi, si basa sul primo volume di una trilogia, Le città perdute, di Tiziana Traina (in uscita per Sonzogno).
Sarà trasmessa agli inizi del 2020 e racconta un mondo mistico e ribelle al femminile, perseguitato dai ‘cacciatori di streghe’, i Benandanti. Ricostruisce le vicende di Ade (stesso nome del dio del regno delle ombre), una levatrice accusata di stregoneria per la morte di un neonato. Di sicuro la trama ha un inizio accattivante. Meno fascinoso è invece il tentativo di agganciare il ritorno delle streghe alla storia del femminismo anni Settanta e più in generale di fare della “strega” il prototipo della donna ribelle, autonoma, in possesso di una cultura sapienziale alternativa a quella dei maschi dominanti.
La storia ci racconta invece di un clima diverso: le streghe perseguitate e processate in Italia erano delle poverette, spesso ignoranti, che curavano con le erbe e praticavano aborti o producevano innocui filtri amorosi, utilizzando sangue mestruale e altri intrugli. Facevano riferimento a un’ars medica tramandata oralmente nelle campagne e più che essere ribelli intendevano essere “nascoste”, invisibili per il potere occhiuto degli inquisitori, che si incattivirono contro di loro dalla fine del ‘400 in poi. Una fase storica in cui il Medioevo è declinante e l’ossessione demonologica – desunta dal Malleus Maleficarum, manuale scritto da due inquisitori domenicani nel 1487 – si abbatte su superstizioni contadine prima tollerate.
In precedenza, anche se può sembrare strano rispetto alla “vulgata” sul medioevo, c’erano più tolleranza e ragionevolezza rispetto ai residui di culti magico-pagani. Nei secoli X e XI i Libri penitenziali testimoniano di pratiche superstiziose sulle quali il confessore spesso chiude un occhio. Nel Canon Episcopi, addirittura, si parla di donne che di notte credono di volare al seguito della dea Diana, primo abbozzo di “sabba”, ma la Chiesa si guardava bene dal ritenere vere queste “illusioni” o “sogni”. Per arrivare alla persecuzione delle presunte streghe concorrono, molto più tardi, fattori che fanno vivere all’Europa, tra il 1348 e il 1630 (anni di terribili epidemie di peste) una serie di paure incontrollabili. «Paura delle epidemie», sottolinea lo storico Franco Cardini, «delle guerre, delle carestie, dell’avanzata turca, della fine del mondo». Ecco allora che il fanatismo prende di mira le donne, in un «mondo assetato di prodigi, nel quale il sovrannaturale si fa notizia quotidiana».
Tra la fine del Cinquecento e per tutto il Seicento (la serie è appunto ambientata nel XVII secolo) la persecuzione diviene di massa: vennero prese di mira ostetriche, levatrici, procuratrici di aborti, fabbricatrici di unguenti e di filtri d’amore, donne di «umore malinconico», anziane in preda ai deliri della depressione.
Ogni espressione di folklore è sospetta, ogni forma di devianza sessuale è duramente repressa. Bisognerà aspettare in Francia l’editto del 1682 di Luigi XIV per dichiarare la stregoneria frutto di impostura o illusione d’origine patologica, per allontanare insomma il Maligno dalla realtà di ciò che è umano e solo umano.
In Inghilterra il linciaggio delle streghe continuò, anche se in modo sporadico, fino al tardo Ottocento. A sua volta la Chiesa, dopo avere abusato nelle accuse a ogni forma di superstizione, finirà nel “secolo dei lumi” sul banco degli imputati e la religione cattolica sarà bollata da Voltaire come una subcultura per creduloni manipolata da un clero furfantesco.
Questo è ciò che la ricerca storica ci dice. Le streghe non sapevano di essere tali né volevano esserlo. Tantomeno rivendicavano un “potere femminile” oppresso ad opera delle classi dominanti (maschili). La serie “Luna nera” certo non terrà conto di tutto ciò: è un racconto fantasy, con scarsi addentellati in quella che fu la realtà del tempo. Le donne innocenti torturate e uccise non erano, nella stragrande maggioranza, donne colte o consapevoli di essere portatrici di un contropotere. Non si studiava nelle campagne, infatti, ma – strano a dirsi – nei monasteri. La finzione narrativa è un’altra cosa, ma attenzione a non mettere nel calderone ingredienti che alla fine rischiano di rovinare tutto.
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