Due sentenze di ieri del Consiglio di Stato hanno segnato un punto importante sul caso Avastin-Lucentis. Nella prima, i giudici hanno confermato la multa da 180 milioni di euro che nel 2014 l’Autorità italiana garante della concorrenza e del mercato (Agcm) aveva inflitto contro Roche e Novartis. I due colossi svizzeri del farmaco, secondo l’Agcm, hanno intrapreso una pratica anticoncorrenziale volta a favorire le vendite del farmaco più costoso (il Lucentis, prodotto da Novartis, con un prezzo di 900 euro a iniezione) a discapito di quello più economico (l’Avastin, della Roche, da circa 80 euro a dose), sebbene equivalente ad esso, per la cura della maculopatia, una malattia degli occhi molto grave. Ora grazie a questa sentenza sia il ministero della Salute, sia il Mef, sia le Regioni potranno avanzare una richiesta di risarcimento danni. La perdita patrimoniale subita dal Servizio sanitario nazionale era stata quantificata dal dicastero della Salute in 1,2 miliardi di euro: “Circa 45 milioni nel 2012, 540 milioni nel 2013 e 615 milioni nel 2014”.
A denunciare il cartello all’Antitrust era stata innanzitutto la società dei medici oftalmologi italiana (soi) e un’associazione di cliniche oculistiche private, oltre ad alcune organizzazioni come Codacons e Altroconsumo. “Ci sono voluti 10 anni e 4 diversi gradi di giudizio – ha dichiarato Ivo Tarantino, responsabile Relazioni esterne di Altroconsumo – ma alla fine l’impegno indefesso che ci ha visto in campo ha pagato. I pazienti si sono visti negati l’accesso alla cura di una malattia grave come la maculopatia e il servizio sanitario ci ha rimesso decine di milioni di euro per una scellerata concertazione illecita delle due case farmaceutiche”.
Spiazzate le industrie farmaceutiche. Roche in un comunicato ha espresso “il proprio disaccordo per le conclusioni a cui sono arrivati i magistrati”. “La sentenza – si legge nella nota – lascia privi di risposta tutti gli argomenti difensivi sollevati da Roche in questi lunghi anni. Non c’è stata alcuna collusione con Novartis riguardo ai due farmaci bevacizumab e ranibizumab”. “Tutti i contatti tra Roche e Novartis – conclude l’azienda – sono stati assolutamente leciti, basati su informazioni veritiere di farmacovigilanza”. Novartis, in un altro comunicato, dice di essere convinta che “che il caso antitrust sia stato guidato da motivi puramente economici, volti a forzare, nel quadro normativo italiano, un cambiamento atto a consentire il rimborso generalizzato di un farmaco in un’indicazione priva di autorizzazione (off label), nonostante la presenza sul mercato di medicinali autorizzati (on label)”. “Sebbene la sentenza della Corte sia stata sfavorevole, Novartis conferma la correttezza del proprio operato e rimane convinta che l’utilizzo di un farmaco fuori indicazione in presenza di farmaci appropriati costituisca una minaccia per l’esistente sistema legale, medico e regolatorio, istituito – termina Novartis – per monitorare l’uso efficace e sicuro dei medicinali nei pazienti”.
Ma la svolta forse più dirompente è contenuta nella seconda sentenza di Palazzo Spada. Quella in cui i magistrati riconoscono la liceità della determina 622/2014 di Aifa che ha introdotto nella cosiddetta Lista 648 – relativa ai farmaci a carico del Ssn – anche l’Avastin per il trattamento della maculopatia, quindi per un uso off label, cioè per un’indicazione terapeutica diversa da quella autorizzata. L’Avastin infatti era stato autorizzato dalla Commissione europea il 12 gennaio 2005 per la cura di diverse tipologie di tumori, tra cui quella del colon. Ma dimostrandosi efficace anche per la degenerazione maculare ed essendo molto più conveniente a livello economico del Lucentis bisognava difendere l’interesse pubblico al risparmio di spesa per il Ssn. La novità di Aifa avveniva sulla scorta del decreto Lorenzin (36/2014), che modificando la legge 648 del 1996 disponeva l’inserimento nel suddetto elenco anche quei medicinali per cui sussiste un’alternativa terapeutica on label (quindi autorizzata). Mettendo in discussione l’intoccabile ed esclusivo potere del titolare dei diritti commerciali di definire l’uso terapeutico della molecola, che appunto può portare a delle conseguenze negative se questa facoltà viene usata per azzerare la concorrenza e massimizzare i profitti. Ad appellarsi contro la determina di Aifa era stata Novartis. Il ricorso però è stato respinto sia dai giudici del Tar, sia ieri da quelli del Consiglio di Stato.
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