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Savoini, lo «sherpa» su cui Salvini viene troppo spesso smentito

Gianluca Savoini

Gianluca Savoini davanti ai pm di Milano: Vanity Fair si era già occupato di lui. A noi sempre detto di essere in contatto con il ministro dell'Interno, per cui lavorava in Russia

Lo scorso 18 ottobre, all’Hotel Metropol di Mosca, Gianluca Savoini, presidente dell’associazione culturale Lombardia Russia e «membro dello staff di Matteo Salvini» come si è sempre definito, colloquiava con due interlocutori russi sul far arrivare alla Lega un finanziamento illecito dalla Russia (65 milioni di dollari) mascherato da fornitura «scontata» di prodotti petroliferi.

Per questa vicenda Savoini è indagato dalla procura di Milano e lunedì pomeriggio è comparso al Palazzo di Giustizia per spiegare il suo coinvolgimento nei presunti fondi russi alla Lega.

Servivano soldi perché «le elezioni sono dietro l’angolo», diceva Savoini nella registrazione che documenta questo scoop di BuzzFeed News del 10 luglio, riferendosi all’epoca alle Europee. Oggi, mentre l’opposizione chiede le dimissioni del ministro dell’Interno, torna in mente la vicenda analoga successa in Austria lo scorso maggio: l’ex vicecancelliere austriaco di estrema destra Heinz Christian Strache si è dimesso dopo la diffusione di un video, diffuso dai giornali tedeschi Der SpiegelSüddeutsche Zeitung, in cui si vedeva Strache discutere con la nipote di un oligarca russo ritenuto vicino al presidente Vladimir Putin di finanziamenti illeciti al suo partito in cambio di appalti.

Perché da noi le dimissioni sono un’ipotesi vista come più remota? Salvini ha cercato prima di negare di conoscere Savoini, poi di non sapere perché Savoini era presente alla cena in onore di Putin del 4 luglio a Villa Madama, Roma, successivamente smentito sia da Palazzo Chigi che dagli stessi leghisti. Infatti nel 2018, Vanity Fair aveva intervistato Gianluca Savoini, in due occasioni, proprio in quanto portavoce di Salvini in Russia. Il governo giallo-verde era appena nato, e Savoini parlava disinvoltamente sia della Lega che dell’Austria. A rileggerli oggi, questi articoli, non si può avere alcun dubbio circa la vicinanza tra Savoini e la Lega, ma anche circa la strategia politica di avvicinamento a Mosca.

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1. Da Vanity Fair del 18 marzo 2018

Lo sherpa di Matteo Salvini a Mosca non parla una parola di russo ma mastica la lingua della politica. Si chiama Gianluca Savoini, 54 anni, sposato con Irina, nata a San Pietroburgo, con cui ha avuto un figlio. Nella Lega da sempre, da ancora prima che il partito traslocasse in via Bellerio, nel 1991 è entrato nella consulta per la politica estera del movimento che settimanalmente si riuniva in via Arbe a Milano.

Un pioniere: c’è lui dietro all’accordo di collaborazione politica tra il partito di Putin Russia Unita e il Carroccio, siglato un anno fa. Ex portavoce di Matteo Salvini, dal 2014 è presidente dell’associazione indipendente Lombardia-Russia, che costruisce «ponti» verso est utili al movimento. «Ma con la politica estera della Lega non c’entriamo, è Salvini a dettare la linea, noi diamo solo una mano», precisa.

Lo sherpa è diventato il motore della cooperazione tra lo Zar e Salvini quando l’attuale leader del Carroccio è stato eletto segretario: quel giorno (era il 13 dicembre del 2013) a Milano c’era, guarda caso, anche Aleksey Komov, un personaggio chiave nei rapporti tra il Cremlino e il Front National di Marine Le Pen. Adesso, nel caso dovesse vedere la luce un governo formato da 5 Stelle e centrodestra, non è detto che non spunti per lui un incarico alla Farnesina, magari da sottosegretario. Savoini, però, si smarca: «Non credo che me lo proporranno, ma sono al servizio del partito».
Quand’è l’ultima volta che ha sentito Salvini?
«Ieri sera, al telefono».
Cosa le ha detto?
«Che aveva il torcicollo».
Solo questo?
«Io e Salvini ci conosciamo da quasi trent’anni. Parliamo di tutto, non solo di politica estera. Ecco, magari evitiamo di parlare di calcio: io sono juventino, lui milanista».
La prima volta che lo ha incontrato?
«Lo intervistai per L’Indipendente ancora prima che venisse eletto, nel 1993, a soli 20 anni, consigliere comunale a Milano. Lì è iniziata la nostra amicizia».
Si aspettava un simile trionfo alle elezioni?
«Sì. È tutto merito suo: va a letto chiedendosi cosa può fare per il partito e si sveglia ponendosi la stessa domanda. Con uno così le cose non potevano andare diversamente».
Domenica si vota in Russia: scontata la vittoria di Putin. Lei sarà a Mosca?
«Si, parto venerdì assieme all’ex parlamentare Claudio D’amico, con cui lavoro in tandem».
La sua associazione esattamente di cosa si occupa?
«Nel nostro piccolo cerchiamo di far conoscere la Russia per quel che veramente è, smontando le menzogne e organizzando eveneti e iniziative culturali».
Cosa dobbiamo aspettarci dall’alleanza tra Putin e il leader del Carroccio?
«La Lega ha un accordo di collaborazione con la Russia nelle varie sedi europee. Ma è Salvini il leader, tutte le decisioni partono da lui. La nostra non è un’associazione del partito».
Il segretario della Lega è per la revoca delle sanzioni alla Russia, che l’Ue invece ha appena esteso di altre sei mesi. Questo sarà un altro terreno di scontro tra Via Bellerio e Bruxelles?
«Guardi, il clima da guerra fredda che si è venuto a creare conviene ad alcune lobby dell’alta finanza, a svantaggio di molte piccole e medie imprese, anche tricolori, che hanno rapporti commerciali con la Russia».
È stato scritto che Salvini ha scelto lei per trovare aziende che fanno affari con la Russia disposte a finanziare la Lega…
«È una sciocchezza. La mia associazione si è limitata a organizzare due convegni ai quali hanno partecipato esponenti russi e alcuni imprenditori interessati a fare business lì. Nessuno ha chiesto soldi a nessuno».
Lei però ha molte conoscenze a Mosca. Sul suo profilo WhatsApp campeggia una foto che la ritrae in compagnia di Vladimir Putin.
«L’ho incontrato due volte. Ha la fama del dittatore, ma non lo è. Si tratta di una persona estremamente cordiale e alla mano. Il che lascia spiazzati, glielo assicuro».
La Russia però non è il paese delle meraviglie…
«No, non lo è. Come in tutte le nazioni vi sono aspetti criticabili, non dico il contrario».
Con Putin parlate in russo?
«No, in inglese. Io non parlo russo».
Come non parla russo?
«Non una parola».
Non è mai troppo tardi per rimediare, non crede?
«Le lingue s’imparano da ragazzi. Io però da giovane ero un anticomunista convinto e mai mi sarei aspettato che in futuro avrei avuto a che fare così tanto con questo mondo. Ricordo però che leggevo molta letteratura russa: mi piacevano Tolstoj e Dostoevskij. Oggi mi piace Nicolai Lilin, autore di Educazione siberiana. Siamo anche diventati amici».
Altri aneddoti russi?
«Nell’ottobre del 1993, ai tempi di Eltsin, c’ero anch’io nel parlamento, a Mosca, quando fuori spararono i colpi di cannone».
Anche l’M5S vanta contatti importanti in russia, questo facilita il dialogo con la Lega?
«È vero che anche loro hanno stretto dei rapporti, ma hanno contatti con esponenti meno altolocati».
Cosa pensa di un governo formato da 5 Stelle e Lega?
«Non mi pronuncio sulla politica interna».
Torniamo alla politica estera, allora. Alta tensione tra Londra e Mosca: che idee si è fatto della storia dell’ex spia russa avvelenata con il nervino nel regno Unito?
«Penso che sia assurdo non vedere la Russia come un partner fondamentale nella lotta al terrorismo islamico, come ribadito da esponenti politici realisti».

 

2. Da Vanity Fair del 18 giugno 2018

Gianluca Savoini dà uno sguardo amareggiato ai quotidiani: «La Nato ha detto che la revoca delle sanzioni alla Russia non è in discussione. Mancano di buon senso, come sempre». È lui l’uomo di Matteo Salvini a Mosca, lo sherpa del Carroccio dietro all’accordo di collaborazione che il ministro dell’Interno ha siglato il 6 marzo del 2017 con il partito Russia Unita di Vladimir Putin. Lo abbiamo intercettato sul treno che traghetta nella Capitale i passeggeri in arrivo all’aeroporto di Fiumicino, all’indomani del discorso per la fiducia durante il quale il neo premier Giuseppe Conte ha strizzato l’occhio alla Russia. «Sono appena tornato da Mosca». Nella Lega da prima ancora che la Lega s’insediasse nella storica sede di via Bellerio (era il 1993), dal 2014 Savoini è alla guida dell’associazione indipendente Lombardia-Russia. Il suo compito? Costruire «ponti» verso est.

Cosa c’è scritto nel contratto di cooperazione che lega il Carroccio a Russia Unita?
«Suddiviso in dieci punti, ha una durata di 5 anni. Prevede forme di cooperazione nella lotta al terrorismo e all’immigrazione clandestina, oltre che sul piano economico e commerciale. Non scordiamoci che le sanzioni contro Mosca sono costate care all’Italia: dal 2014 l’export verso la Russia ha perso più di 10 miliardi».
Il contratto impone al governo giallo-verde di opporsi al rinnovo delle sanzioni in occasione del prossimo consiglio europeo?
«Assolutamente no, il governo qui non c’entra niente. L’accordo si limita a favorire la collaborazione tra i due partiti in seno ad alcuni organismi internazionali, come l’Ocse, per il raggiungimento di obbiettivi utili a entrambi i Paesi».
Preoccupa il passaggio in cui si parla di un ampio scambio informativo tra i contraenti, considerato che il ministro dell’Interno avrà accesso a informazioni top secret.
«Oggi Putin si batte in prima linea per stabilizzare i paesi del Medio Oriente e del Nord Africa. Per essere protagonisti nello scacchiere geopolitico del Mediterraneo è indispensabile in questa fase avere un rapporto privilegiato con Mosca. Anche altri partiti europei hanno sottoscritto contratti simili con Russia Unita. Il Partito della Libertà di Strache, attuale vicepremier austriaco, ha fatto lo stesso nel 2016. La verità è che il vento sta cambiando».
In che direzione?
«L’Europa punta a rilanciare la cooperazione con Mosca, come trapelato anche dal recente discorso di Macron al Forum economico di San Pietroburgo».
Quando tornerà a Mosca?
«Il 15 luglio sono stato invitato al Luzhniki Stadium per assistere alla finale dei Mondiali».

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