Karen Elson

Era il giorno del suo diciottesimo compleanno, in tasca due dollari, a New York neppure un amico. A Manchester la trovavano orribile, “skinny whippet” la chiamavano, levriero tutt’ossa. Finché per farsi un regalo Karen Elson quel pomeriggio entra nello studio del fotografo Steven Meisel, che insieme alla make-up artist Path McGrath le rade le sopracciglia, taglia i riccioli biondi, la tinge di rosso. Un mese dopo, febbraio 1997, è sulla cover di Vogue Italia: «E così sono uscita dall’isolamento che credevo facesse parte della mia natura, invece era culturalmente inflitto». In totale, f]ino a oggi le sue copertine sono quaranta: diciannove per l’edizione italiana (inclusa quella di questo mese), il resto tra Inghilterra, America, Francia e Corea. È iscritta nel codice genetico di Vogue, Karen Elson. E dalla rivista s’è fatta clonare, e reinventare, decine di volte.

Cosa trova di unico nel Dna di Vogue Italia?

Il livello assoluto di creatività coinvolta, il fatto d’essere un incubatore di talenti, organismo vivo che inventa stili e spinge i confini. Vogue Italia è il “la” su cui si sintonizza la fashion pop culture mondiale.

Come ha potuto un taglio di capelli, un cambiamento superficiale, condizionare la percezione di sé?

Perché per la prima volta mi sono sentita “vista”. Meisel ha individuato in me qualcosa di profondo e vulnerabile, e l’ha fatto unicamente guardandomi negli occhi. Il giorno successivo mi sentivo pienamente me stessa, e ragionavo su come un’intuizione artistica fosse stata più forte della verità genetica. Il rosso è il colore della mia identità.

Anche la sua pelle bianca somiglia alla sua anima?

Lei ha visto Trono di Spade? Ecco, io mi sento parte dei Bruti, il popolo libero che vive a nord della barriera. Quando sono stata in Islanda per la prima volta ero a casa, e la stessa cosa accade in Norvegia e nella Scozia settentrionale. La pelle in cui vivo, le mie ossa sono boreali.

Nashville, dove abita ora, ha però un sole che brucia.

Geneticamente non dovrei trovarmi lì, lo so: gli ombrellini parasole sono diventati un caro alleato. Ma è anche il posto dove conduco la mia esistenza più quieta. Mi sveglio, porto i miei due figli a scuola (avuti col cantante Jack White, ndr), corro, vedo gli amici e scrivo le mie canzoni.

Al termine delle registrazioni del suo ultimo album “Double Roses” ha detto: «Ora sono me stessa». Che significa?

È un’alchimia di tante cose. Significa sentirmi creativamente ispirata, onorare me stessa, seguire il mio cuore e affidarmi all’intuito, quasi come una strega. Non è facile, ma quando ci arrivi, è liberatorio. La Karen che vive fuori di me e quella che vive dentro hanno smesso di combattersi.

Ha una sorella gemella, Kate. Cosa vi unisce, e cosa vi divide?

Fisicamente siamo diversissime, ma siamo in grado di terminare l’una le frasi dell’altra e percepiamo se una di noi si trova in imminente pericolo. Lei sostiene che ci siano due Karen: quella vera e quella fashion. Quando la fashion Karen si manifesta, Kate alza subito un muro. E fa in modo che l’intrusa se ne vada immediatamente dalla stanza.

I GENI DI KAREN ELSON? 99,9% EUROPEI

EUROPEAN 99.9%

- british and irish 81.4%

- french & german 4.1%

- scandinavian 3.6%

- broadly northwestern european 10.3%

- broadly european 0.5%

UNASSIGNED 0.1%

Nella foto e nel video: abito in gabardine nattè e duchesse PRADA. Photographer Harley Weir. Model Karen Elson @ Img Models. Styling: Katie Grand. Gilet kimono con stampa floreale Louis Vuitton. Sulla pelle, le note agrumate di Afternoon Swim, eau de cologne Louis Vuitton. Hair:Cyndia Harvey @ Streeters using Wella Professional. Make-up Thomas de Kluyver @ Art Partner. Manicure Sylvie Macmillan using Mavala “Mava-White”.

Digital editor @futurista_inc