Si allargano i sospetti sui "demoni" di Reggio Emilia. Politici, medici, assistenti sociali e psicologi. Sono tutti coinvolti nell'inchiesta che ha scosso l"Italia. Alcuni di loro sono stati accusati di aver scritto documenti falsi per strappare i bambini dalle proprie famiglie e affidarli ad amici e conoscenti. Dietro compenso o, addirittura, dietro movente ideologico.Ma di colpevoli, in questa orribile storia, potrebbero essercene altri. Il numero delle vittime sembra infatti crescere giorno dopo giorno. Più si parla del caso è più storie vengono fuori. Storie simili a quelle che già abbiamo raccontato.Una madre, che chiameremo Giulia, perché ci ha chiesto di rimanere nell"anonimato, ci ha racconatato la sua storia. Una brutta storia."Quando ho letto i giornali e ho visto quello che era successo sono rimasta allibita. Non potevo crederci. Le stesse persone coinvolte in questa brutta storia sono le stesse che hanno provato a portare via i miei due bambini. Per fortuna non ci sono riusciti. Ho pianto molto, ho detto ad amici che volevano portarmi via i figli a tutti i costi, ma nessuno mi credeva. Oggi, sapere che sono stati arrestati e scoperti mi fa tirare un sospiro di sollievo". Si sfoga così la madre, nella lunga chiacchierata al telefono.Un anno e mezzo fa Giulia, che vive a Bibbiano con i suoi due figli di 13 e 7 anni, ha deciso di contattare i servizi sociali. "Ero preoccupata per la situazione a casa, mio marito aveva iniziato a bere e ciò lo portava ad essere violento. Spesso con me, ma talvolta anche con i bambini. Avevo paura e mi sono rivolta a loro", ha iniziato a raccontare la madre. Chiedeva aiuto e, invece, ha rischiato di finire nel trieste e lungo elenco delle vittime. Non poteva mai immaginare che, quelle persone, di cui lei si fidava, potessero portarle via i figli. Un grido di aiuto, una speranza, la speranza di poter migliorare le cose, quella di Giulia. Che, però, si è trasformata in un incubo."Dopo poco tempo dalla mia richiesta di aiuto, senza che ci fossero accertamenti di nessun tipo, mi è arrivata a casa una lettera dei servizi sociali in cui era scritto che i bambini sarebbero stati affidati a loro. Volevano togliermeli. Senza ragione. Nessuno era mai venuto a casa mia".Così è iniziato il lungo calvario di Giulia, sotto la costante osservazione dei servizi sociali dell"Unione Val D'Enza tra visite degli psicologi e incontri continui. Ma nessuna spiegazione del perché volessero strapparle i bambini. "Ogni volta cercavano di incolpare me. Perchè proprio me? Io non c"entravo nulla. Io ero vittima di mio marito, eppure su di lui non hanno detto niente. Anzi, a volte, sembrava che lo giustificassero. Più volte mi sono fatta delle domande e sono entrata in crisi". Racconta Giulia, con la voce rotta dal dolore, solo al ricordo. Impaurita, ma sollevata dopo l"operazione dei carabinieri. "Un giorno sono andata ad un incontro con la neuropsichiatra e quando le ho raccontato quale era il problema mi ha detto, quasi deridendomi: 'Signora ma lei non se lo beve un goccino ogni tanto?'. Avevo i brividi. Non riuscivo a capire".I bambini di Giulia, tenuti sotto costante osservazione, erano costretti a passare intere giornate con i servizi sociali. Tra i responsabili e incaricati di stare con i piccoli c'erano Beatrice Benati, Marietta Veltri e Maria Vittoria Masdea. Educatrici dei servizi sociali finite nella bufera giudiziaria, indagate dalla procura di Reggio Emilia."Mi dicevano che ero io che non sapevo gestire la situazione. Che i bambini avevano dei problemi. E tutto per colpa mia. Che mi dovevo imporre per farli andare da loro anche quando i miei figli non volevano". Ma perché incolpare proprio lei? Perchè non approfondire la situazione per allontanare dal padre, alcolizzato e violento, la madre con i suoi figli? Giulia non riusciva a dare una risposta a queste domande.Forse perché ai vertici dei servizi sociali non interessava affidare quei bambini alla madre. Quello che consentiva di portare a termine il proprio "gioco d"affari" era strappare via i bambini dalla famiglia naturale e affidarli ad altri. Questo era il modus operandi dell"associazione. Solo così sarebbero riusciti a mettere nelle tasche di amici e conoscenti denaro destinato al mantenimento. Da quello che dicono le carte era questa la loro tattica. Solo in questo modo avrebbero potuto sottoporre i bambini alle continue sedute degli psicologi della Onlus coinvolta nel giro di affari illecito, il Centro studi Hansel e Gretel. Il tutto, con la complicità dei genitori affidatari disposti, in cambio di soldi, a portare i piccoli nella "sala delle torture".Ma con Giulia qualcosa è andato storto. "I miei figli mi raccontavano che li facevano solo disegnare, che non si divertivano e non ci volevano andare. Non me la sono sentita di continuare. Era tutto troppo strano". Ancora per Giulia la battaglia non è terminata e, per chiudere definitivamente i rapporti con i servizi sociali, si è dovuta rivolgere ad un avvocato. Lei resta ancora sotto osservazione dagli psicologi.