Confessioni di un grillino di governo. Giovedì mattina nel corridoio che immette al portone principale di Montecitorio, a poche ore dalla votazione della mozione sulla Tav, Stefano Patuanelli, presidente dei senatori 5stelle e uno degli strateghi dell'anima "governativa" del movimento, confida le ragioni del "no" al processo a Salvini e le mosse dei prossimi mesi. "C'era il rischio di andare ad elezioni anticipate - spiega - e dare l'autorizzazione al processo al leader leghista avrebbe equivalso a staccare la spina e ad aprire la strada per le urne, con il rischio di prendere meno del 20%. Per cui, tra grandi travagli, abbiamo scelto il no. In cambio Salvini, che è uomo di parola, andrà avanti in questa esperienza di governo". Così, soppesando pro e contro, i dorotei del grillismo di governo hanno fatto la scelta più pragmatica, la più coerente con la propria natura. Scelta che, a cascata, si porterà dietro altre decisioni. "Di Maio - racconta Patuanelli - ha spiegato a Salvini che sulla Tav il movimento non può tornare indietro. Ma una soluzione dopo le Europee la troveremo. Sull'autonomia non siamo contro, pure i nostri hanno raccolto le firme in Lombardia e Veneto. Ma sarà lo stesso ministero dell'Economia che porrà un problema di compatibilità economiche su alcuni trasferimenti di competenze. La vera emergenza, invece, sarà la crisi economica. Dovremo stringere i ranghi. E forse si porrà il problema del ministro dell'Economia. In una fase del genere ci vorrebbe un personaggio empatico in quel posto. Savona sarebbe stato perfetto".Resta l'argomento spinoso della tenuta di un movimento sottoposto a continui strappi. "Se ci sarà una scissione? Non credo - è l'opinione di Patuanelli -, non conviene né a Fico, né agli altri. E anche se fosse, al Senato, dove i numeri della maggioranza sono più risicati, chi se ne andrebbe? Al massimo la Nugnes e la Fattori...".A ben vedere, al di là dei propositi e delle analisi di maniera, la strategia dei "grillini di governo" ha un unico punto di riferimento: Matteo Salvini. È appesa alle sue volontà. È una strategia, infatti, che ha qualche possibilità di funzionare se Salvini starà al gioco, in caso contrario - se il leader del Carroccio optasse per le elezioni anticipate - potrebbe rivelarsi un autentico suicidio. Ma al leader della Lega conviene assecondare un Di Maio sempre più debole, perché mai come ora è al centro del gioco politico: è la ciambella di salvataggio per i grillini vittime di un crollo elettorale repentino (domenica in Sardegna rischiano di andare sotto il 20% in una regione dove alle ultime politiche avevano superato il 40%); ma è anche l'alleato indispensabile al centrodestra per conquistare il governo nelle regioni e a livello nazionale. E il leader del Carroccio non ha nessuna voglia di imprigionarsi in una delle due alleanze - né in quella con i grillini, né in quella con il centrodestra - ma punta a sfruttare l'attuale "centralità", per avere il tempo e il potere per plasmare uno schieramento a sua immagine e somiglianza, in cui sia egemone. La sua, appunto, è una strategia militare, quella del leader totus politicus che non fa sconti, che ha come unico obiettivo la conquista del potere, perché è il potere lo strumento con cui può imporre le proprie politiche. Per assecondare il suo disegno Salvini è pronto anche a sacrificare pezzi dell'identità leghista, o, per esigenze strategiche, a riporli per un periodo nel cassetto: dalla Tav all'autonomia.Intanto per tenere aperti, o a bada, i due "diversi" alleati, grillini e centrodestra, usa il potere nelle sue molteplici forme, da quello di nomina a quello di coalizione. Può lasciare ai grillini la presidenza dell'Inps. O, come è successo giovedì scorso, evitare che fosse votato un emendamento di Forza Italia alla mozione di maggioranza per impegnarla a prendere una decisione sulla Tav in tempi brevi, che sarebbe stato imbarazzante per la Lega: in quel caso lo strumento è stata la minaccia di far saltare l'intesa sul candidato per la Regione Piemonte, l'eurodeputato Alberto Cirio. O, ancora, ci sono le lusinghe: sono mesi che il leader leghista tiene buona Giorgia Meloni, prospettando un ingresso al governo di Fratelli d'Italia senza Forza Italia, magari offrendo il ministero della Difesa a Crosetto. Lo stesso ministero che il leader leghista avrebbe promesso al sottosegretario agli Esteri Guglielmo Picchi, almeno a stare ai racconti che l'interessato ha fatto a qualche parlamentare. Insomma, siamo al codice del potere: dalle lusinghe e al divide et impera. C'è addirittura chi intravede nelle "tecniche" salviniane, con le debite proporzioni, quelle di Bettino Craxi. Tant'è che nel salotto di Guya Suspisio a Roma, incontri un vecchio amico del leader socialista, Ferdinando Mach, quasi sedotto dal leader del Carroccio: "Bisogna aiutare Matteo, altrimenti ci ritroviamo Draghi". Un ex democristiano ancora in Parlamento, Bruno Tabacci, invece, azzarda ancora di più: "Più che Craxi, un po' di Mussolini. Lui è abile, invece, Di Maio si dimostra un cretino: ma alla fine Salvini lo salverà, Giggino diventerà leghista".Nella strategia salviniana, che a prima vista appare perfetta, c'è però un baco grosso come una casa. Le dimensioni della crisi economica: di male in peggio. Ieri era nell'aria, c'era pure il downgrade dell'agenzia di rating Fitch. Per ora gli uomini del Carroccio si mostrano sicuri. "Abbiamo delle idee", garantisce il sottosegretario all'Economia Massimo Garavaglia. Mentre Claudio Borghi assicura: "La crisi non farà saltare il quadro politico". Sarà, ma se lo spread tornasse in alto, se i fondamentali della nostra economia peggiorassero e se gli altri partiti del centrodestra incalzassero Salvini sui limiti di una politica del governo che è distante anni luce dal programma con cui la Lega si è presentata agli elettori (non diminuiscono le tasse, ma aumentano le pene), se si rendesse necessaria una manovra correttiva, sarebbero guai. "Ci sarà una manovra - sostiene Berlusconi - me lo ha detto Giorgetti. Rischiamo una patrimoniale. Il governo cadrà". Già, se la situazione si "avvitasse" non è detto che il leader leghista potrebbe continuare nel divide et impera. "Se Salvini ci chiedesse di entrare al governo - spiega Rampelli di Fratelli d'Italia - dovremmo pensarci due volte: prima ha succhiato il consenso i grillini e ora vorrebbe farlo con noi". "Salvini - gli va dietro Andrea Delmastro Delle Vedove, altro uomo della Meloni - capisce solo le maniere forti. Berlusconi ha sempre dato agli altri più di quello che dovevano avere. Anche con noi di Fratelli d'Italia. Lui no. Per cui se va giù fa il botto. E i primi a pugnalarlo saranno i suoi". Sono le prime avvisaglie.