Travolto da un insolito destino nel mare tempestoso del calcio italiano. Si tratta di Rino Gattuso, una sorta di calimero per auto-definizione ("sono brutto, sporco e cattivo" disse un giorno), che ha guadagnato lo striscione del primo anno di serie A e di Milan collezionando numeri e citazioni che fanno discutere e creano sorpresa. Già perché, a dispetto del graffio tardivo di Vincenzo Montella ("non doveva criticare i miei metodi di preparazione, lo sfido"), la contabilità esibita dal calabrese è di quelle che costringono a revisione storica di giudizi ed etichette. Da allenatore, replicando il format del calciatore, lo avevano dipinto come "tutto grinta e poco altro" forse anche perché le prime esperienze (in Svizzera, in Grecia, quindi a Pisa) non avevano dato lustro al curriculum. Perciò l'accoglienza a Milanello, quale sostituto di Montella, non fu delle più generose. A dispetto della sua carriera da calciatore e dei mesi nella primavera, test che servì a Mirabelli per convincersi che era proprio lui l'uomo capace di risollevare il Milan cinese. Già il girone di ritorno del torneo passato si concluse con un parziale dignitosissimo: 39 punti collezionati, terzo punteggio dietro Napoli (43) e Juventus (48), punti che in qualche modo legittimarono la riconferma, anzi il prolungamento del contratto fino al 2021. E d'altro canto nella stessa classifica dell'anno solare 2018, Gattuso è addirittura secondo (64 punti in 33 partite) dietro solo Allegri (88 punti) e davanti a Spalletti (60), Di Francesco (57) e Simone Inzaghi (56), in vantaggio (sullo stesso periodo) nei confronti di Montella (50 punti).Gattuso è stato una rivelazione continua. Innanzitutto nella comunicazione dando sfogo al suo temperamento, mai una narrazione affettata, spontaneo fino a risultare qualche volta politicamente scorretto (nella replica a Salvini) o sgarbato (con Montolivo). E sul lavoro, cambiando sistema di gioco secondo le necessità, ha mostrato una duttilità che sembra appresa alla raffinata scuola di Carlo Ancelotti, il suo maestro assoluto. Il suo flop che ancora gli brucia è stata la finale di coppa Italia (0 a 4) con la Juve, il suo trampolino di lancio il derby di coppa Italia con l'Inter. Anche nei giorni più felici non si è mai sentito Napoleone facendo professione continua di umiltà e riscuotendo dal gruppo testimonianze di affetto che non sono scontate. Adesso che è salito al quarto piano, in zona Champions, con mezza squadra fuori uso (Musacchio, Romagnoli, Caldara, Biglia, Bonaventura) non ha indossato lo smoking ma è rimasto in tuta a inventare Abate difensore centrale e la coppia di centrocampisti centrali (Bakayoko-Kessiè) cui nessuno pensava. Forse è consapevole del fatto che, a causa dei burrascosi precedenti con Leonardo, nemmeno il quarto posto potrebbe bastare per vincere la diffidenza tra i due che non è calcistica ma umana, avvelenata da pettegolezzi e frasi riportate.