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Carnevale d’Ivrea, il Generale Ulisse Falchieri: «Io, l’Ulisse di sempre sento crescere le emozioni»

IVREA. Lunedì 6 gennaio, giorno dell’Epifania, alle 12 decadrà l’aggettivo “designato” e Ulisse Falchieri, ricevendo sciabola e feluca dal suo predecessore Alberto Bossino, sarà a tutti gli effetti il cittadino generale della campagna carnevalesca 2025. Falchieri, 67 anni splendidamente portati, ferrarese di origine ma ormai eporediese di adozione (si è trasferito sulle rive della Dora alla fine degli Anni Settanta) e da trent’anni protagonista del Carnevale come Alfiere, ha avuto il tempo, dal giorno della designazione, per “prendere le misure” al nuovo ruolo.

Come ha vissuto il neo Generale questi 53 giorni trascorsi dal 14 novembre, giorno in cui sono stati svelati i nomi dei personaggi maschili della nuova edizione della manifestazione?

«L’atmosfera che si è creata è sicuramente magica, ho ricevuto tanti attestati di affetto e di stima, c’è stato un vero stravolgimento anche della vita quotidiana. È qualcosa di inaspettato, perché il semplice uscire di casa vuol dire trovare qualcuno che si complimenta, che esprime il suo piacere di incontrarmi. È molto piacevole, ma in qualche modo strano, perché io, in fondo, sono quello di sempre, non sono diventato improvvisamente una rockstar, eppure sento crescere attorno a me questa atmosfera».

Non una rockstar, ma sicuramente quello del Generale è un ruolo di prestigio, che porta a un po’ di deferenza da parte del “popolo del Carnevale”. Non è così?

«Sicuramente è il personaggio maschile principale, però io sono Ulisse, quello di sempre. E credo che tutti noi, a prescindere dalla divisa che indossiamo siamo qui per fare Carnevale insieme, soprattutto siamo tutti al servizio della festa. È quello che facciamo ogni anno e che continueremo a fare in questa campagna: anche il Generale è e deve essere al servizio del Carnevale. È la manifestazione la vera protagonista; noi siamo lì, anno dopo anno, dandoci il cambio, per perpetrarne la storia e fare in modo che la tradizione venga mantenuta».

A differenza di molti eporediesi allevati a pane e Carnevale lei ha incontrato la manifestazione già in età adulta (era il 1979). Qual è stata la sua prima impressione?

«Quell’anno fu un assaggio, intravidi solo il Carnevale. Dell’edizione successiva ricordo la sfilata del sabato sera e la battaglia delle arance. E io che mi chiedevo “Ma cosa sta succedendo qui?”» .

Poi è entrato nel vivo…

«Ho iniziato a scoprire La grande bellezza del Carnevale di Ivrea grazie a Giancarlo Spagna e Alberto Bolzoni che mi hanno coinvolto tra goliardi dell’Auc e, pian piano, ho poi avuto la possibilità di cogliere l’essenza del Carnevale che non è solo assistere e guardare ma è soprattutto vivere e partecipare. Da Goliarda, poi tre anni da Ufficiale e, infine, come Alfiere. Quello che mi è piaciuto immensamente fin dal primo approccio è stato il senso di comunità. Forse sono particolarmente sensibile a questo aspetto perché provengo da una terra, il Ferrarese, dove comunità e solidarietà sono il pane quotidiano. È stata una piacevole sorpresa ritrovare quei valori nel Carnevale: in quei giorni non ci sono il ricco e il povero, il capo e il sottoposto: spariscono tutte le differenze e resta solo il piacere di vivere assieme i momenti, di condividere, di fare anche le cose più balzane in compagnia. Un affascinante intrecciarsi di personalità, di sensazioni, di tutto. Una trasformazione da gustare appieno, che ci trasforma in coloro che possono dire “Ecco noi siamo questa roba qui!. Lo siamo almeno una volta all’anno e questa capacità di farlo, anno dopo anno, è ciò che contraddistingue il Carnevale, la sua forza che lo ha portato a mantenersi vivo attraverso i secoli, fino a oggi».

È ancora fresco il ricordo delle due edizioni, 2021 e 2022, che non si sono svolte a causa del Covid. Lei ha mai avuto il timore che il Carnevale potesse non tornare a essere quello di prima della pandemia?

«Mai! Questo dubbio non mi ha mai sfiorato, nemmeno un attimo. Ero certo che la voglia di tornare a fare festa sarebbe riesplosa e anche in quegli anni lo abbiamo dimostrato tutti con un gesto, magari ritrovandoci in videoconferenza. Sono stati segnali di quella volontà di tornare a essere la comunità che si trova in piazza, si abbraccia e condivide le emozioni della nostra festa. Siamo forti, più forti anche delle limitazioni che in questi anni hanno un po’ snaturato il Carnevale: i sensi unici e i numeri chiusi sono l’esatto opposto di come vorremmo tutti vivere quei giorni, muovendoci, spostandoci, andando a trovare gli amici in una piazza e nell’altra. Per carità: sicurezza e incolumità delle persone sono sacrosante, però queste imposizioni hanno rovinato a molti il gusto di vivere il Carnevale come lo abbiamo sempre vissuto. Mi spiace che a essere penalizzati sino soprattutto i cittadini che vivono il Carnevale nella maniera più semplice e preziosa: indossando il berretto frigio e battendo le mani ai protagonisti. Chi ha un ruolo, bene o male, riesce a muoversi e a gestire il “suo” Carnevale. Queste regole invece penalizzano il “popolo dei berretti rossi”, quella componente che è la vera forza del Carnevale: che senso avrebbe per un Generale, per un Alfiere o per una Mugnaia sfilare senza entusiasmo attorno, senza chi ti chiama e ti applaude?».

Oggi riceverà sciabola e feluca da Alberto Bossino, un Generale che ha saputo creare una grande empatia con il popolo del Carnevale. Personalmente, cosa ha particolarmente apprezzato del suo Generalato?

«Alberto ha dato un’impronta significativa al suo Carnevale: ha saputo dire a tutti che la festa va vissuta nel modo giusto, partecipando, divertendosi, ma senza sconquassi. È stato un Generale molto equilibrato, sorridente e disponibile. Ha lasciato un segno e sono certo che lo ricorderemo a lungo. In questi ultimi tempi abbiamo avuto numerose occasioni di incontrarci e i suoi consigli sono preziosi in questa mia costruzione del personaggio. È sempre gentile e disponibile e sa darmi quei suggerimenti che solo chi ha già interpretato il ruolo sa dare».

Cosa si auspica per il Carnevale 2025?

«Vorrei che chi ultimamente si è un po’ staccato dal Carnevale, possa tornare a respirarlo con noi. Possono essere mille i motivi di un allontanamento: diatribe, incomprensioni o quant’altro. Io invito tutti a mettere da parte questi ostacoli per tornare in piazza a riallacciare il proprio amore per il Carnevale, a ritrovare quel clima di comunità che è davvero unico e merita di essere vissuto». Federico Bona

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