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Fotovoltaico: una valanga di rifiuti in arrivo

Solo in Italia, da qui al 2050 si dovranno smaltire due milioni di tonnellate di pannelli solari. Ma sono ancora pochissimi trattamento. Così, invece di riciclarlo, si rischia di far

ra già previsto ma nessuno si è ancora mosso per affrontare il problema. I pannelli fotovoltaici, simbolo della transizione energetica, stanno invecchiando e vanno smaltiti. Dove e come, però, è un rebus perché l’attenzione finora si è concentrata sulla loro diffusione, su come farli diventare indispensabili. La fase critica dovrebbe avvenire tra il 2027 e il 2033, quando andranno a fine vita i 16,9 GW di impianti installati più di un decennio fa. A sollevare il problema è lo studio Energie rinnovabili e mobilità elettrica: opportunità di investimento nella catena del valore del riciclo di rifiuti emergenti di Native Strategy, società di consulenza strategica internazionale.

Altre analisi hanno calcolato che entro il 2030 ci saranno almeno quattro milioni di tonnellate di pannelli dismessi, mentre al 2050 si arriverebbe a oltre 200 tonnellate a livello globale. Secondo il report di Native Strategy, di qui a un paio di anni, l’Italia dovrà affrontare un picco nella domanda di smantellamento dei moduli fotovoltaici che continuerà fino al 2033. Nell’arco di sette anni saranno da rottamare quegli impianti installati tra il 2010 e il 2013 grazie agli incentivi pubblici. «Una montagna di pannelli dismessi rischia di invadere le discariche nei prossimi decenni, con effetti devastanti sull’ambiente» commenta a Panorama il presidente di Iren, Luca Dal Fabbro. Se non c’è un’accelerazione nello sviluppo di tecnologie efficaci e impianti per il riciclo, secondo l’esperto, sarà un vero e proprio «tsunami».

Iren, il gruppo multiservizi che produce ed eroga energia elettrica, teleriscaldamento, servizi idrici integrati e servizi ambientali, ha lanciato un osservatorio sull’economia circolare delle materie prime critiche e ha realizzato un innovativo impianto di riciclo di pannelli fotovoltaici in provincia di Siena. Questo è in grado di trattare fino a cinquemila tonnellate l’anno di pannelli ottenendo il riciclo del 98 per cento della composizione del rifiuto. «Pochi sanno che il 20 per cento dei moduli solari si possono riutilizzare con un processo di rigenerazione» spiega Dal Fabbro. Poi sottolinea che «in un prossimo futuro queste infrastrutture da dismettere aumenteranno in modo esponenziale e nell’arco di un tempo brevissimo. La tecnologia produrrà pannelli con una vita sempre più corta e a prezzi sempre più bassi sicché saranno facilmente accessibili. Questo significa che si dovranno smaltire con più frequenza. Al momento in Italia siamo indietro per il trattamento in massa di questi rifiuti».

La decarbonizzazione ha puntato molto sull’energia solare, considerata dalla transizione energetica come una delle principali fonti rinnovabili. Il problema è che i pannelli solari col tempo si rovinano e perdono efficienza, inoltre le innovazioni tecnologiche hanno portato nel giro di pochi anni ad avere impianti con una capacità due o tre volte superiore di generare energia. Il risultato è che, dopo 15-30 anni, diventa più economico ed efficiente dal punto di vista energetico rimpiazzare i vecchi con modelli più performanti. Ma questo produce montagne di rifiuti.

In Italia, nel 2022, erano attivi circa un milione e 225 mila impianti solari, il 21 per cento in più rispetto all’anno precedente, e in linea con la media globale del 22 per cento. È un trend che avrà una crescita costante nei prossimi decenni. Secondo le stime di Enel distribuzione, da qui al 2050 solo in Italia ci saranno da smaltire due milioni di tonnellate di pannelli solari. Oggi però sono pochissimi gli impianti di riciclaggio nel nostro Paese. Diventa quindi fondamentale recuperare i materiali che li compongono. Gli impianti sono autentiche “miniere”. I componenti di maggior valore che si possono riciclare sono rame, argento, alluminio, vetro e silicio cristallino. Le plastiche complesse invece, presenti in piccole quantità, sono difficili da riutilizzare e spesso vengono bruciate, generando un impatto ambientale significativo. Da un pannello fotovoltaico comune, di circa 22 chili di peso, è possibile recuperare mediamente 0,1 chili di schede elettriche, 0,2 chili di metalli vari, 1,7 chili di plastiche, 2,8 chili di silicio, 2,9 chili di alluminio e 13,8 chili di vetro. Tra questi sarà particolarmente richiesto l’argento, che costituisce solo lo 0,05 per cento del peso complessivo dei moduli, ma rappresenta circa un terzo del valore delle materie riciclabili. Con una riserva totale stimata di 540 mila tonnellate di argento, si prevede una significativa carenza fino al 2075. Il riciclo di una tonnellata di rifiuti fotovoltaici può produrre fino a 500 grammi di questo metallo, con una percentuale di recupero del 95 per cento.

Attualmente manca l’argento sufficiente a costruire la grande quantità di pannelli solari di cui il mondo avrà bisogno per la transizione energetica. Il recupero di questi minerali però è condizionata dallo stato dei moduli che devono essere in buone condizioni per essere immessi nel ciclo del trattamento. Se invece sono deteriorati è necessario un processo diverso, perché questi pannelli rientrano nella categoria dei rifiuti pericolosi, i Raee. Si tratta di procedure molto costose, che riguardano meno del 10 per cento del totale.

Nel trattamento più comune ci sono diverse fasi. Inizialmente viene eseguita la scorticatura dell’alluminio, e sono rimossi cavi di connessione e la scatolina di giunzione. Poi il tappeto di vetro, la plastica e le celle solari sono trattati in un macchinario che gratta via questi materiali. Quel che resta del pannello viene poi triturato e sottoposto a un setaccio molto più fine che separa la plastica Pet e Eva, le polveri di silicio e i connettori di rame. Le materie prime recuperate possono essere utilizzate in diversi settori, dal vetro impiegato nell’industria ceramica ed edilizia, al silicio usato per la produzione di materiali isolanti. L’alluminio e il rame possono invece essere impiegati in svariati comparti industriali.

Michele Benvenuti, responsabile dell’impianto di trattamento dei Raee dell’azienda Sogliano Ambiente, tra le poche in Italia a occuparsi del riciclo dei pannelli dismessi, evidenzia un’altra criticità oltre agli scarsi impianti per trattare i moduli a fine vita: la capacità da parte delle imprese di assorbire i materiali estratti. «Si tratta di un processo circolare in cui sono coinvolti tanti soggetti, è un gioco di squadra in cui ciascuno deve fare la sua parte. La buona riuscita del trattamento dipende dalla fase di smontaggio, ma anche dai riutilizzatori delle materie prodotte. Ci deve essere un’industria pronta ad assorbire questo flusso di materia prima recuperata». Benvenuti poi precisa che la «Sogliano Ambiente ha ottenuto la certificazione “End of waste” sul vetro da pannello fotovoltaico: il prodotto recuperato ha una qualità così alta da essere venduto come materia prima, al pari di quello vergine».

C’è poi la componente delle polveri di silicio che si usano in ambito siderurgico, ma «il trattamento viene fatto all’estero, soprattutto in Belgio e Germania». Il manager mette in evidenza che «gli impianti esistenti oggi non sono pronti a gestire i volumi dei prossimi dieci anni». Il rischio, come tanti rifiuti, è che i pannelli vengano abbandonati nelle discariche o in campagna con grave danno all’ambiente. Il problema riguarda soprattutto i moduli solari acquistati prima del 2014, cioè prima che venissero catalogati come Raee, e non era previsto al momento dell’acquisto il pagamento dello smaltimento. «In questo caso bisogna rivolgersi al consorzio che si occupa del trattamento. Se l’impianto è al di sotto dei 10 chilowattora, come quello domestico, può essere conferito in un’isola ecologica gratuitamente. Se superiore a questa soglia, bisogna prendere accordi con i consorzi Raee che organizzano il trasporto in impianti autorizzati con un esborso di circa 10-20 euro a pannello» spiega Benvenuti. In Italia c’è una decina di impianti di recupero, con differenti capacità produttive: dai 60 ai 200 pannelli processati in un’ora e con diversi livelli di qualità del prodotto finale. Dal Fabbro, invece, sottolinea che è ancora oneroso il processo di smaltimento e riciclo e «lo possono mettere in pratica solo realtà industriali con grande capacità di investimento».

La grande sfida è quindi rendere possibile la riduzione dei costi. Ma finché abbandonare i pannelli in discarica risulterà più vantaggioso, è difficile che si sviluppi una filiera di settore in grado di gestire l’altra faccia della transizione ecologica. E qui torna il tema dei controlli e delle sanzioni. n

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