Dice Elly Schlein che con l’approvazione della manovra «si certifica tutta l’incoerenza» di Giorgia Meloni. La critica non è solo nel merito, è anche rispetto al metodo perché la legge di Bilancio, è l’accusa, è passata «a colpi di fiducia», non lasciando «il minimo spazio alla discussione del Parlamento». Si tratta di una polemica che l’opposizione ha cavalcato molto con l’approdo del testo al Senato, dove effettivamente non c’è stato tempo per il dibattito. Ma, se è vero che un problema esiste, è altrettanto vero che le accuse dell’opposizione sono solo l’ennesima solfa strumentale, che leva credibilità prima di tutto a chi le solleva: i ritmi di approvazione della manovra e la compressione del dibattito che ne deriva sono una questione irrisolta da un tempo ormai remoto.
Dunque, non sono una novità introdotta dal governo Meloni in spregio al Parlamento, come va ripetendo l’opposizione, ma una costante annosa legata prima di tutto ai meccanismi del nostro sistema. Schlein dovrebbe saperlo, visto che nella stessa situazione si sono trovati anche i governi di cui ha fatto parte il Pd. Ma, come sempre, la segretaria dem preferisce interpretare la parte della smemorata di Bologna, pur di trovare pretesti per gridare al lupo al lupo. In buona compagnia, c’è da dire, di altri, tra i quali Matteo Renzi, che ha cavalcato il tema con particolare veemenza.
A fornire un promemoria all’opposizione, in queste ore, è stato tra gli altri il capogruppo al Senato di Forza Italia, Maurizio Gasparri. «Si discute dell’approvazione monocamerale di questo provvedimento, come di altri. Oggi è il 28 dicembre, io ricordo di aver approvato leggi di stabilità il 30 dicembre con i governi Conte, con il governo Draghi, quindi – ha sottolineato – nulla di nuovo. Dobbiamo forse mettere mano ai regolamenti e garantire date certe di approvazione dei provvedimenti». «Con una data certa, forse, si potrà contenere il ricorso alla fiducia e anche consentire l’auspicato esame bicamerale dei provvedimenti. Altrimenti c’è ipocrisia, perché tutti i governi hanno fatto i conti con questa realtà», ha detto il senatore azzurro, nel corso del suo intervento in Aula per le dichiarazioni di voto.
Disagio per l’iter così serrato è stato espresso del resto anche da altri esponenti della maggioranza: il senatore di FdI, Guido Liris, ha dato le dimissioni da relatore della manovra proprio «con la richiesta che si torni alla doppia lettura, che non viene più fatta dal 2018». Il tema inoltre è stato affrontato anche da parte del governo.
«La revisione dei meccanismi e anche delle regole è necessaria. Noi siamo assolutamente disponibili, abbiamo dato disponibilità», ha detto e ribadito a più riprese in questi giorni il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ricordando che una revisione si rende necessaria anche alla luce delle nuove regole europee che impongono un iter diverso. Il titolare del Mef, però, ha anche ricordato che «non spetta al governo l’iniziativa, spetta al Parlamento». «Lo caldeggiamo, speriamo che sia un lavoro condiviso», ha aggiunto nel corso delle repliche al Senato. Maggioranza e governo, insomma, sono pronti al confronto per sanare il vulnus. Resta da capire se almeno su questo i partiti di opposizione, Pd in testa, saranno pronti al dialogo o se preferiranno continuare ad alimentare una polemica che non è utile a nessuno, neanche a loro.
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