Questo Natale sarà un Natale di combattimento in Siria. Il Consiglio militare di Manbij, parte delle Forze siriane democratiche (Sdf) di orientamento secolare e pluralista, ha lanciato nelle scorse ore una controffensiva a ovest dell’Eufrate contro i gruppi islamisti dell’Esercito “nazionale” siriano diretto dalla Turchia. La città di Manbij, situata tra Kobane e Aleppo, è abitata da 300.000 siriane e siriani di lingua araba (in maggioranza) ma anche curdi, ceceni, turcomanni e circassi, e ben rappresenta il crogiolo di lingue e identità che compongono la nazione.
La battaglia in corso non è però primariamente legata al rispetto delle differenze linguistiche, pure importanti, ma alla definizione, nella nuova Siria, dei rapporti di genere. Le violenze delle milizie a Manbij hanno compreso l’assassinio di tre militanti dell’Associazione femminile araba Zenobia, Kamar El-Soud, Aysha Abdulkadir e Iman. Occupata da Daesh nel 2014, due anni dopo Manbij era stata liberata dalle Sdf create su iniziativa delle Ypg-Ypj curde con decine di battaglioni arabi dell’ex “esercito libero siriano”. Quella liberazione, che ho vissuto in prima persona e raccontato nel libro Hevalen, costò mille caduti tra le forze di liberazione e quasi il doppio tra i miliziani di Daesh.
Quando i miliziani fedeli alla Turchia hanno attaccato Manbij due settimane fa, il governo damasceno di Al-Jolani non ha condannato l’aggressione, rendendo chiaro che le sue “rassicurazioni” su un’evoluzione pacifica nel paese sono pura propaganda. Pochi giorni fa ha dichiarato che per le Ypg non c’è spazio nella Siria in cui il suo movimento ha assunto unilateralmente pieni poteri grazie a un beneplacito internazionale più che interno. Con la copertura aerea dell’aviazione turca le milizie hanno occupato la città e iniziato a mettere in atto esecuzioni sommarie, stupri e saccheggi.
In seguito a questi eventi, la qabila (struttura familiare allargata o “tribù”) Bin Asid ha dichiarato di essere pronta a insorgere contro gli occupanti in città. Dopo che, il 22 dicembre, una bambina di sette anni è stata violentata dalla “Brigata Suleiman Shah” guidata dal criminale di guerra Abu Amsha (che ha una lunga storia di violenze sessuali alle spalle), un’altra importante struttura clanica della città, la qabila Al-Bubna, ha attaccato le milizie.
È in questo contesto che il Consiglio militare delle Sdf ha lanciato una controffensiva verso la città, liberando alcuni villaggi nonostante i bombardamenti turchi e l’assedio in corso a Kobane. La difesa di Kobane lungo la diga di Tishrin sull’Eufrate, e ora la controffensiva verso la vicina Manbij, vedono un ruolo cruciale delle Unità di protezione delle donne (Ypj), parte delle Sdf. Il Consiglio delle donne siriane (WJAS) ha dichiarato il 22 dicembre che mentre “celebriamo la caduta del regime Ba’ath, assistiamo a un allarmante aumento della violenza contro le donne”. Il comunicato ha ricordato l’occupazione di Manbij e “crimini efferati come le brutali uccisioni e decapitazioni di donne, come quelle avvenute a Tal Rifaat, da parte di fazioni armate sostenute dalla Turchia”.
L’appello si conclude con una serie di rivendicazioni per la nuova nazione, tra cui la chiusura dello spazio aereo siriano alle attività militari; la cessazione di tutti gli attacchi sul territorio siriano e il ritiro di tutti gli eserciti occupanti; la garanzia di un’equa rappresentanza delle donne e delle organizzazioni femminili di tutte le parti della Siria nella costruzione di una Siria democratica e nel nuovo Comitato Costituzionale; l’effettiva partecipazione delle donne ai processi decisionali, di attuazione e di responsabilità nell’adozione di queste misure; garantire la partecipazione libera e paritaria delle donne in tutti i meccanismi decisionali e nei settori della politica, dell’istruzione, della scienza e dell’economia; il riconoscimento legale del diritto delle donne all’autodifesa; la piena attuazione e garanzia dei diritti umani proclamati nelle convenzioni internazionali; l’istituzione di un comitato che lavori per l’inclusione della volontà delle donne nelle istituzioni pubbliche e politiche sulla base del principio della pari rappresentanza; l’istituzione di commissioni di giustizia per i bambini che hanno subito danni psicologici e fisici a causa della guerra e della violenza.
Queste rivendicazioni sono arrivate poche ore dopo le dichiarazioni di Obaida Arnout, portavoce del “governo transitorio” di Damasco, alla tv libanese Al-Jadeed. Riguardo al coinvolgimento delle donne nella nuova Siria, Arnout ha affermato che il momento è “prematuro” per parlarne, benché i “compiti della donna” debbano necessariamente essere “compatibili con il ruolo che può svolgere. (…) Può svolgere le stesse funzioni dell’uomo? Non può”. Il governo di Damasco mostra di avere tutta una sua teoria sulle donne: “La donna ha la sua natura biologica e psicologica, la sua unicità e la sua composizione che devono necessariamente allinearsi con determinati compiti; non è corretto che la donna utilizzi armi o si trovi in un determinato luogo che non si allinei con le sue capacità, la sua composizione o la sua natura”.
Il tono è rivelatore anche in rapporto all’educazione: “Certamente la donna ha diritto all’istruzione e all’apprendimento in qualsiasi campo della vita, ma per quanto riguarda l’assunzione dell’autorità giudiziaria da parte della donna, questo può essere un punto di ricerca o di studio da parte di specialisti, e vedo che è troppo presto per parlare di questo argomento”. Anche Al-Jolani insiste sempre sul fatto che i nuovi principi guida, e la stessa costituzione, devono essere definite da “esperti”; ma non è chiaro chi questi esperti dovrebbero essere, né in che senso sarebbero “esperti”, chi li sceglierebbe e soprattutto perché l’assemblea costituente debba essere formata dai suoi uomini senza prima procedere ad elezioni.
La scrittura della nuova costituzione in questa forma sarebbe il completamento del colpo di stato promosso da Al-Jolani all’interno del composito processo rivoluzionario, cui si oppongono le Ypj e le Sdf, come le donne scese in piazza a Damasco il 20 dicembre e a Qamishlo il 23 dicembre. Come ogni paese del mondo, la società siriana è divisa politicamente intorno a valori, interessi e principi, e nessun riferimento alla “cultura”, alla “natura” o alla “tradizione” è quindi scevro da una connotazione politica.
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