Si apre la porta santa. Inzia il Giubileo. Nel cammino della storia ci sono momenti segnati da una sveglia, da un sussulto che scuote il sonno, i sogni e pure gli incubi. Il giubileo è questo. Nelle origini ebraiche il suo inizio era segnato dal suono penetrante di un corno di ariete, lo jobel (e da qui il nome). Non c’è giubileo senza la sveglia solenne del corno che si allarga maestosa. È la nota che ci manca nel ritmo, ora andante ora ossessivo, dei giorni faticosi della nostra storia contemporanea.
E che cosa proclamava questo squillo del giubileo? Nella tradizione ebraica si celebrava, ogni cinquantesimo anno, un anno zero: «proclamerete la liberazione nella terra per tutti i suoi abitanti», si legge nel libro biblico del Levitico. Si trattava di una liberazione molto concreta: era l’anno di riposo della terra dalle coltivazioni, della restituzione delle terre confiscate e della liberazione degli schiavi. Tre semplici cose che costituiscono il senso di una rivoluzione.
Sovrapponiamo al messaggio del giubileo l’istantanea del nostro mondo. I nazionalismi riaffiorano, il senso sociale pare smarrito, e il bene comune sembra essere il meno comune dei beni. Persino la globalizzazione e l’apertura al mondo celano interessi economici e finanziari, non desiderio di fratellanza.
Comprendiamo che abbiamo un disperato bisogno di giubileo ai nostri giorni.
In un momento come questo, tutti siamo chiamati a contribuire alla costruzione di un mondo migliore: credenti, non credenti, credenti di varie religioni, cristiani di tante confessioni. Il messaggio del giubileo cristiano è per tutti: todos, todos, todos, come ripete spesso Francesco. Il punto è che dobbiamo trovare una base comune di collaborazione, un’«armonia» e un’«amicizia sociale». Per questo richiamarsi ai valori del giubileo è in grado di farci riflettere meglio anche sul valore della democrazia, e sul senso civile della nostra cittadinanza.
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