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Migranti e Paesi sicuri, Meloni: “La Cassazione ci dà ragione”. I passaggi della sentenza che la smentiscono (e il testo integrale)

Che la sentenza della Cassazione sul potere-dovere del giudice di sindacare la famosa lista dei Paesi sicuri non avrebbe messo d’accordo tutti, era prevedibile. Ma siamo andati oltre. Come nel caso della sentenza della Corte di giustizia europea del 4 ottobre, le opinioni divergono anche su quanto esattamente scritto dai giudici. Il governo ha rivendicato fin dalle prime ore: “La sentenza ci dà ragione”. La premier Giorgia Meloni rilancia anche dalla Lapponia: “Mi pare che la Cassazione abbia sostanzialmente dato ragione al governo italiano sul fatto che è diritto dei governi stabilire quale sia la lista dei Paesi sicuri, mentre i giudici possono entrare nel singolo caso rispetto al paese sicuro ma non disapplicare in toto” la normativa interna. Insomma, rivendica la principale tesi del governo: non compete ai giudici decidere quali sono i Paesi sicuri. Un fatto che la Cassazione conferma. Ma non è questo il punto.

Il rinvio e le posizioni in campo – La sentenza risponde al rinvio pregiudiziale che il Tribunale di Roma ha fatto a luglio a partire dal caso di un cittadino tunisino la cui domanda d’asilo è stata respinta dalla commissione territoriale. Il Tribunale ha chiesto alla Corte suprema se il giudice sia vincolato alla decisione ministeriale o se non debba piuttosto valutare se il paese incluso nell’elenco sia effettivamente sicuro in base alla normativa europea e nazionale vigente. Secondo la memoria depositata dal Viminale, la valutazione del giudice “trova necessario limite nella attendibilità della scelta dell’Amministrazione”, a meno di non accertare la “non sicurezza” del Paese con riferimento al singolo richiedente. Secondo la requisitoria del Pubblico Ministero, invece, “nel caso in cui il giudice ritenga che l’inserimento del paese (nell’elenco dei sicuri, ndr) non sia rispettoso dei parametri imposti dalla legislazione europea, il decreto ministeriale dovrà essere disapplicato per contrarietà alla fonte sovranazionale”.

“E’ diritto dei governi stabilire la lista” – Stilare l’elenco dei Paesi sicuri è prerogativa del governo. Come la gestione del fenomeno migratorio, che la Cassazione riconosce “al circuito democratico della rappresentanza popolare”, compresa la “scelta politica di prevedere, in conformità della disciplina europea, un regime differenziato di esame delle domande di asilo per gli stranieri che provengono da paesi di origine sicuri”. Mentre al giudice, si legge, compete di “garantire, nella singola vicenda concreta, l’effettività della tutela dei diritti fondamentali”. Ma la designazione dei Paesi, “non è un atto politico”, precisa la Cassazione. Perché la prerogativa del governo deriva direttamente dall’applicazione dei criteri individuati dal legislatore europeo. “L’esistenza di una dettagliata disciplina (procedurale e sostanziale) applicabile al relativo potere amministrativo implica che il rispetto di tali requisiti e criteri è suscettibile di verifica in sede giurisdizionale”, scrivono i giudici. Come ha già stabilito la Corte di giustizia europea il 4 ottobre, l’obbligo del giudice di verificare, anche d’ufficio, la legittimità della designazione governativa è dovuto al fatto che dalla lista dei Paesi d’origine sicuri dipende il modo in cui verrà esaminata la domanda d’asilo dei richiedenti. Chi viene da Paese considerato sicuro seguirà la procedura accelerata, come in Albania, che ha tempi stretti e garanzie ridotte, anche per la possibilità di difesa. Per dirla con gli artt. 113 e 24 della Costituzione, che esprimono il principio di legalità-giustiziabilità, la Cassazione spiega che le posizioni giuridiche soggettive devono essere tutelate e, quindi, qualsiasi atto della pubblica amministrazione che possa danneggiarle può essere controllato e non può essere considerato immune da revisione.

Il giudice si sostituisce alla politica? – Secondo la maggioranza di governo, la sentenza esprime un monito: “Il giudice non può sostituirsi al governo”. In realtà, si tratta di un’autocitazione. Il concetto compare nella parte in cui la Cassazione cita la memoria del Ministero dell’Interno: “Ad avviso del Ministero, l’autorità giurisdizionale non può sostituire la propria valutazione a quella dell’Amministrazione…”. L’opinione della Cassazione si trova più avanti, al punto 13 delle motivazioni: “Il giudice non sostituisce le proprie valutazioni soggettive a quelle espresse dal decreto ministeriale quando esercita il, doveroso e istituzionale, controllo di legittimità sugli esiti della valutazione effettuata dall’amministrazione e verifica se il potere valutativo sia stato esercitato con manifesto discostamento dalla disciplina europea”. Ancora: “Il giudice ordinario non si sostituisce al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale anche perché il giudice ordinario non può andare al di là di quanto rileva ai fini del pieno e completo esame del singolo caso in quella data controversia”. Ancora: “Il sindacato intrinseco di attendibilità non giunge affatto alla sostituzione nelle valutazioni che spettano, in generale, al Ministro degli affari esteri e agli altri Ministri che intervengono in sede di concerto”. In altre parole, la Cassazione afferma solo che non c’è pericolo di sostituzione, perché il compito del giudice è altro da quello esercitato dal potere politico. “L’accertamento giurisdizionale risponde, piuttosto, all’esigenza di verificare che il potere non sia stato esercitato arbitrariamente”, si legge.

“Possono entrare nel singolo caso” – Sul potere-dovere del giudice di verificare la legittimità della lista dei Paesi “sicuri”, compreso l’eventuale obbligo di disapplicare il decreto che la contiene, la sentenza è chiara: “Il potere di accertamento del giudice non può essere limitato dalla circostanza che uno Stato sia incluso nell’elenco di paesi da considerare sicuri sulla base di informazioni vagliate unicamente nella sede governativa”, è scritto nella sentenza. Ma il controllo del giudice deve fermarsi al caso singolo, come dice la premier o, a prescindere da questo, ha l’obbligo verificare la legittimità della designazione governativa in base alla normativa sovranazionale? Per le già citate conseguenze sull’esame della domanda e quindi sui diritti del richiedente, dice la Cassazione, “la necessità di una valutazione aggiornata non riguarda soltanto il merito della domanda di protezione internazionale, ma anche l’utilizzabilità della procedura prevista per i migranti provenienti da paesi sicuri. Se così non fosse, sarebbe vulnerato il significato più profondo dell’effettività della tutela garantita dal giudice ordinario quando sono in gioco diritti fondamentali che attengono al diritto di asilo e di protezione internazionale”. In altre parole, a prescindere dalle circostanze specifiche del singolo richiedente, il giudice deve verificare che la lista stilata dal governo sia legittima in base ai principi generali stabiliti a livello europeo e, in caso di contrasto, disapplicarla. Attenzione, dunque. Contrariamente a quanto sembra sostenere la premier, la valutazione può prescindere dal singolo caso anche se, come è normale che sia per il giudice ordinario, la disapplicazione avrà effetto sulla sola causa in esame.

“Non possono disapplicare in toto” – Il giudice ordinario non disapplica erga omnes, cioè per tutti, una legge dello Stato, perché definisce solo il caso che ha di fronte. Quando invece ritiene che serva un chiarimento generale in merito alla coerenza tra la normativa interna e quella sovranazionale, può sospendere la causa e presentare un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia europea, come infatti è stato fatto dai giudici del Tribunale di Roma per il secondo gruppo di trattenuti in Albania, dopo che il governo aveva superato il decreto ministeriale di cui tratta la presente sentenza della Cassazione, inserendo l’elenco dei Paesi in un decreto legge (n. 158 2024), certo che una norma primaria non avrebbe più potuto essere disapplicata dai giudici. In realtà, hanno ribadito molti giuristi, il primato della direttiva europea vale per qualunque legge interna chiamata a non discostarsene. Ma a questo punto sarà la Corte Ue a dire se la nuova legge, col nuovo elenco dei Paesi, va disapplicata in toto. In attesa che si esprima a primavera, la Cassazione ha deciso che “il giudice ordinario, nell’ambito dell’esame completo ed ex nunc, può valutare, sulla base delle fonti istituzionali e qualificate di cui all’art. 37 della direttiva 2013/32/UE, la sussistenza dei presupposti di legittimità di tale designazione, ed eventualmente disapplicare”, nella singola causa, “il decreto ministeriale recante la lista dei paesi di origine sicuri” qualora la lista governativa contrasti con la normativa europea. Inoltre, nel differente caso in cui sia stato il richiedente a denunciare l’insicurezza del suo Paese per il suo specifico caso, “il giudice conserva l’istituzionale potere cognitorio”, cioè di accertamento completo, ispirato al principio di cooperazione istruttoria. Ma in questo caso, “la valutazione governativa circa la natura sicura del paese di origine non è decisiva, sicché non si pone un problema di disapplicazione del decreto ministeriale”. Qui il testo integrale della sentenza della Cassazione.

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