IVREA. Due fotografie accomunate da una piccola scalinata all’ingresso di quella che era, in tempo di guerra, la caserma Valcalcino riadattata nel 1960 a sede del nuovo liceo scientifico Gramsci di Ivrea, partorito dal classico Botta. La manciata di gradini è rimasta intatta nel tempo come i protagonisti della prima foto in bianco e nero scattata pochi giorni dagli esami di maturità del luglio 1974 della classe quinta B (quinquennio 1969/1974).
Gli studenti di allora (classe 1955) si sono rimessi in posa mezzo secolo dopo, nelle stesse posizioni sulla stessa scalinata, con le medesime espressioni e la stessa emozione e gioia di ritrovarsi ancora una volta insieme. Negli sguardi del 1974 la spensieratezza dell’adolescenza e i tanti sogni nel cassetto ancora tutti da realizzare. In quelli di oggi il bilancio di una vita, dei sogni realizzati o persi per sempre, della fatica e dei sacrifici del vivere, della forza della volontà di affermarsi, di costruire una famiglia di affetti sinceri , di non cedere al dolore. Hanno portato con sé i loro mestieri: imprenditore, avvocato, medico, farmacista, maestro, ingegnere, tecnico, impiegato, commerciante, e perché no, professore di liceo.
Quegli studenti di allora sono ritornati alla spicciolata alla vecchia scuola dai paesi e dalle città del Canavese, ora come allora in quello che era al tempo un lungo, quotidiano pendolarismo scolastico. Il cortile dell’ex caserma al momento della foto del cinquantenario era deserto e freddo, silenzioso e, per certi versi quasi spettrale. Ma si coglievano sui loro volti i mille ricordi delle tante voci che animavano la scuola: le grida, lo scoppiettare dei motorini, le biciclette, le risate liberatorie e innocenti, i primi amori, le paure dell’interrogazione e del compito di matematica, la gioia di essere giovani e belli tutti insieme. Oggi, occhi lucidi , qualche capello in meno e qualche ruga in più. «Queste due foto rivelano un grande segreto della vita e un insegnamento per tutti noi - spiegano gli ex studenti della quinta B - Innanzitutto la specularità tra esse, già di per sé cosa molto rara tenuto conto dei molti anni trascorsi e il fatto che se nulla è immobile per sempre, compresi i nostri corpi, e che tutto nella realtà si trasforma di continuo in un percorso senza fine verso l’ignoto, qualcosa, a dispetto del tempo che passa, rimane immobile e inalterato».