«Bravo Carmine, bonnes vacances» (30 luglio 2016), «Well done! Best François-Henri» (8 agosto 2016), «Congratulations, thank you so much, (2 novembre 2016)». Così il presidente e Ceo del colosso della moda Kering, François-Henri Pinault, e l’ex numero due del gruppo, Jean-François Palus, rispondevano via mail a uno dei manager storici della casa del lusso, l’italiano Carmine Rotondaro, per ringraziarlo e felicitarsi rispetto alle operazioni immobiliari che il responsabile Real estate and Tax della multinazionale francese stava chiudendo.
Rotondaro comunicava ai vertici le ultime sugli ingressi dei marchi Saint Laurent e Alexander McQueen nel mall esclusivo di Hangzhou in Cina, di aver preso in affitto un nuovo store a Cannes oppure di aver ottenuto uno sconto da 2,5 milioni di dollari sulla locazione per la mega boutique di Bottega Veneta sulla Madison Avenue a New York, e le repliche che Panorama ha potuto visionare erano tutte elogiative. Non parliamo di episodi sporadici ma di una routine consolidata da circa 15 anni di consulenze e rapporti che si sono sempre più intensificati. Con soddisfazione reciproca. Legame professionale che era diventato anche umano.
Rotondaro era stato incaricato di cercare la casa privata a Londra di Pinault (affare poi saltato), accompagnava spesso il magnate nei viaggi e vertici d’affari e per ogni Natale, fino a quello del 2015 incluso, riceveva a casa dal miliardario una cassa del pregiato vino Château Latour, tra le migliori cantine di Francia di proprietà della famiglia Pinault. Fa sensazione pensare che si tratti dello stesso manager italiano che pochi giorni dopo, siamo al 22 novembre del 2016 (l’ultima mail di congratulazioni è del 2 novembre), verrà convocato a Londra per essere licenziato in tronco da Palus e da Jean-Marc Duplaix, direttore finanziario della società per circa un decennio. Incontro gelido: una decina di minuti per comunicargli che la priorità era tutelare l’azienda. Quella è la porta. Andare.
Cos’è successo in quei 20 giorni? Perché una persona di fiducia, profittevole per l’azienda (lo dimostrano i ricchissimi bonus che seguivano la chiusura delle sue operazioni) e che peraltro era stata gratificata a settembre di quello stesso anno con un nuovo incarico (responsabile del travel retail del gruppo) viene così bruscamente allontanata? Per capirlo bisogna fare qualche passo indietro. Il primo risale al 15 novembre 2016 quando gli uffici di Kering in via Larga, a Milano, subiscono una perquisizione della Finanza. Si tratta della sede di Kering, ma sono anche gli uffici dove si appoggia Rotondaro e dove quest’ultimo ha una cassaforte privata. Cosa cercano con tanta solerzia i finanzieri incaricati dai sostituti procuratori meneghini Stefano Civardi, Mauro Clerici e Giordano Baggio?
Serve riavvolgere ancora il nastro e arrivare agli affari immobiliari che Rotondaro stava portando avanti in Italia. Parliamo di mall e più nello specifico di tre progetti a Firenze (Leccio Reggello), Sanremo e Fasano in Puglia nei quali era coinvolto l’imprenditore Luigi Dagostino. Semplificando, lo schema era questo: Dagostino, conosciuto anche come «mister outlet», era lo sviluppatore, si occupava di tutta la fase di progettazione e realizzazione dei grandi centri commerciali che poi sarebbero stati locati al gruppo Kering, il quale oltre a mettere in vetrina i suoi fiori all’occhiello (Gucci, Saint Laurent, Bottega Veneta, Balenciaga, Alexander McQueen, Brioni, Boucheron ecc.) non aveva difficoltà a subaffittare gli spazi agli altri grandi brand della moda (Versace, Dolce e Gabbana, Moschino, Alberta Ferretti ecc). Rotondaro faceva da trait d’union. Una sorta di strategia «win-win-win» dove vincevano tutti, anche Kering, che infatti a un certo punto decise di acquistare i mall di Firenze e Sanremo.
Gli inquirenti hanno indagato sulle ramificazioni off shore di questo schema (Cipro, Panama e Lussemburgo), ma erano altrettanto interessati al ruolo svolto da un consulente marketing d’eccezione, Tiziano Renzi, il papà dell’allora premier, Matteo. Babbo Tiziano, già molto chiacchierato, verrà condannato per falsa fatturazione e poi sarà assolto in appello non perché il fatto non sussiste, ma perché «non costituisce reato». La Procura riteneva che il marketing c’entrasse ben poco e che le consulenze di Renzi senior a Dagostino fossero di altra natura. Insomma, che sfruttando il nome del figlio agisse da «facilitatore» dei processi burocratici per i lavori dei centri commerciali.
Intanto Rotondaro - anche per via dei rapporti intrattenuti con Dagostino per conto di Kering - viene indagato per associazione per delinquere, truffa e appropriazione indebita con l’accusa di aver raggirato Kering. I pm milanesi lo mettono sotto torchio, ma il cuore dell’inchiesta è un altro. L’obiettivo è trovare la pistola fumante. Controllare tutte le proprietà del manager per verificare se da qualche parte si nascondano collegamenti con Renzi. Vengono bloccati i conti del manager a Honk Kong, Montecarlo e Singapore e gli viene chiesta spiegazione di ogni singola movimentazione. Nel giro di poche settimane Rotondaro perde lavoro, reputazione e si trova con una disponibilità di poche decine di migliaia di euro.
Dalle parti dell’avvocato calabrese però non si nasconde nessuna pistola fumante, mentre dall’indagine iniziano a emergere (e su questo versante le informazioni fornite dal manager in risposta alle richieste dei pm si rivelano fondamentali) fatti poco chiari sulle «condotte fiscali» di Kering.
In particolare viene accesa una luce sulla Luxury Goods International, la controllata svizzera che fattura miliardi. La Procura di Milano e la Finanza indagano sul mancato pagamento delle tasse in Italia tra il 2011 e il 2017 grazie a «una stabile organizzazione occulta» costituita nella società elvetica. In buona sostanza, l’accusa sostiene che nel Canton Ticino si svolgevano solo le attività della logistica (magazzino, etichettatura e spedizioni) mentre la commercializzazione e vendita dei prodotti, soprattutto del marchio Gucci, avveniva in Italia. Eppure Kering pagava le tasse nel Cantone, potendo godere dell’aliquota agevolata dell’8 per cento, mentre varcate le Alpi avrebbe dovuto corrispondere almeno il 31 per cento all’Erario.
Uno schema ripetuto per anni. Finirà con la più alta conciliazione fiscale mai raggiunta tra una società e le Entrate italiane: nel 2019 la multinazionale del lusso si accorda per versare 1,25 miliardi di euro nelle casse pubbliche. Non solo, perché qualche anno dopo, verrà accertato che anche un altro marchio della casa di moda, Bottega Veneta, aveva usato un «sistema» equivalente. Kering se la caverà pagando altri 186 milioni al Fisco italiano.
Nel frattempo la posizione di Rotondaro si chiarisce. Nel 2021 a Milano, il gip Alessandra Cecchelli accoglie le richieste dei pm e proscioglie il manager dopo aver accertato «l’insostenibilità dell’accusa». Motivo? Le operazioni dell’avvocato calabrese si erano concluse con «soddisfazione del gruppo» e in alcuni casi erano emerse «prove documentali» che Kering fosse consapevole che i compensi del super-consulente transitassero su alcuni veicoli societari panamensi.
Panorama, per esempio, ha visionato una mail (inviata da Matteo Mascazzini, oggi amministratore della Kering Luxembourg Sa e all’epoca presidente di Gucci Americas) dove emerge che già nel 2012 ai vertici di Kering si ragionava con Rotondaro della possibilità di creare società ad hoc a Panama per sfruttare la tassazione agevolata al 12,5 per cento per i non residenti.
Rotondaro, comunque, nel 2022 viene assolto anche a Firenze dall’accusa di appropriazione indebita. Senza dimenticare che a fine 2019 le parti (Kering e il manager italiano) avevano firmato una scrittura privata che poneva fine «irrevocabilmente» a tutti i procedimenti, allora pendenti in sede penale ed esecutiva, di Kering. A garanzia dell’intesa l’ex consulente verserà tre milioni a fronte di una richiesta di circa 100.
Finita qui? Neanche per sogno. Secondo quanto appreso da Panorama si stanno aprendo nuovi capitoli. Il primo riguarda il licenziamento del novembre 2016. Rotondaro chiede di essere risarcito. «Kering», si legge nell’istanza, «dopo aver pattuito per il caso di “termination without cause” una indennità a favore del manager, interrompe il rapporto di consulenza adducendo inadempimenti che non sussistono…». Quindi? «Per questo motivo», continua l’istanza, «accertata e dichiarata l’insussistenza di inadempimenti che giustifichino la risoluzione del contratto» si chiedono alla multinazionale della moda 80 milioni (interessi compresi) di danni. In altre parole: per i legali dell’esperto fiscale tutte le vicende processuali, comprese le assoluzioni, hanno dimostrato che non esisteva una giusta causa per l’allontanamento di Rotondaro, di conseguenza gli va corrisposta una corposa indennità. In primo grado la domanda è stata ritenuta inammissibile perché già oggetto della scrittura privata del dicembre 2019. Secondo i legali di Rotondaro invece quell’accordo non copre i diritti fatti valere nella causa di risarcimento. L’appello è fissato per il 18 febbraio 2025 davanti al giudice Carlo Maddaloni. Nell’attesa emerge che a Firenze è partita una nuova indagine su un altro marchio del colosso del lusso: la maison londinese Alexander McQueen. Secondo gli accertamenti della Finanza tra il 2016 e il 2022 Pinault & compagni avrebbero omesso di dichiarare tra i 60 e i 70 milioni di euro di imponibile. Kering, come da sua ammissione, ha in atto «colloqui con l’Agenzia delle entrate». Vuol dire che è in corso una trattativa per un’altra conciliazione? Se così fosse, più che nell’entità dell’eventuale accordo, la notizia starebbe nel fatto che anche dopo aver versato al Fisco italiano 1,25 miliardi per il caso Gucci 2019, la maison avrebbe continuato a perpetrare lo schema evasivo.
Alla contesa giudiziaria ed economica si intreccia quella umana. Panorama ha potuto visionare una mail di disdetta della prenotazione di alcune camere nell’albergo di proprietà di Rotondaro che si trova a pochi passi dalla sede di Gucci, in via Mecenate a Milano. Cos’è successo? «… Si tratta di un lavoro dove c’è in mezzo anche Gucci», spiegava il messaggio che annunciava il passo indietro, «e questi ultimi hanno posto il divieto all’utilizzo della vostra struttura...». I fatti risalgono a fine 2023. Così come abbiamo letto alcuni messaggi rivolti ai manager della casa di lusso francese che, oltre a porre un veto sui rapporti con l’ex responsabile immobili e fisco, chiedono ai dirigenti di comunicare ai vertici aziendali «qualsiasi tentativo di interazione dello stesso Carmine». Insomma, è chiaro che la ferita che si è aperta nel 2016 non si è rimarginata. Il duello tra «Davide» Rotondaro e «Golia» Kering promette di riservare altre sorprese dentro e fuori le passerelle.