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Open, la Cartabia rottama le accuse a Renzi: «Gli elementi non bastano»

Al momento della lettura del dispositivo con l’annuncio del proscioglimento per l’intero Giglio magico di Matteo Renzi, ex Rottamatore compreso, in aula è scoppiato il tripudio, tanto che un cronista di giudiziaria di lungo corso ha commentato: «Un’esultanza come per un gol di Kean contro la Juventus». Un legale è addirittura uscito dall’aula urlando: «Tutti prosciolti!». E fuori, in rappresentanza del Giglio magico che fu c’era il senatore Francesco Bonifazi, pure lui passato dalle forche caudine di un’accusa di finanziamento illecito (a Roma), e, poi, assolto.

Gli avvocati, che si sono fatti immortalare dai cronisti in una foto di gruppo («Ci mancava che ci facessero mettere un po’ in piedi e un po’ accosciati» ironizza un legale), hanno perso il fair play davanti al procuratore aggiunto Luca Turco, lasciato solo in questo momento professionalmente non facile. Infatti l’altro pm titolare del fascicolo, Antonino Nastasi, non era in aula.

Il regalo natalizio arriva dal Tribunale di Firenze, dove il giudice Sara Farini ha decretato il non luogo a procedere per tutti gli imputati nell’inchiesta sui finanziamenti alla Fondazione Open, creata per sostenere le iniziative di Matteo e in cui erano transitati circa 7 milioni di euro, anche se l’azione penale è stata esercitata per la metà di quei fondi, essendo per le altre donazioni scattata la prescrizione.

Turco, lo sconfitto di giornata, mercoledì scorso aveva organizzato un brindisi ristretto per salutare i colleghi, visto che il 24 dicembre, al compimento del settantesimo anno di età, andrà in pensione. I giornalisti non erano stati invitati e quasi nessuno era presente. Un tempo la sua stanza era un viavai di cronisti, sebbene l’uomo non fosse prodigo di notizie. Ma poi il clima era cambiato, lo scontro con Renzi e la personalizzazione del confronto (l’ex premier lo additava al pubblico ludibrio con nome e cognome) lo avevano convinto a piazzare una telecamera davanti alla propria porta. Un addio triste quello del pisano Turco in riva all’Arno fiorentino, magistrato che con Renzi e i suoi genitori ha intrapreso una disfida lunga quasi un decennio. Una battaglia in cui sono state più le sconfitte che le vittorie.

Chi frequenta il Tribunale di Firenze sa che da tempo il clima è cambiato e i giudici non sono più il prolungamento dei pm. Le sentenze sono sempre meno scontate. Ma in pochi pensavano che cadessero tutte le accuse, a partire da quella di corruzione rivolta a Luca Lotti, all’avvocato Alberto Bianchi (accusato anche di false fatturazioni) e al collaboratore dei Renzi Patrizio Donnini Gallo (quest’ultimo incriminato anche per traffico di influenze e ricettazione), i quali, secondo gli inquirenti, si sarebbero adoperati «in relazione a disposizioni normative di interesse» di almeno due società.

Il finanziamento illecito per sostenere la propria attività politica e quella della corrente di riferimento era, invece, contestato a Renzi, Lotti e a Maria Elena Boschi (gli ultimi due per i ruoli ricoperti in Open), oltre che a Bianchi (ex presidente della fondazione) e agli imprenditori Marco Carrai e Donnini.

L’ex sindaco di Firenze e i suoi avvocati per anni hanno sostenuto che i denari inviati alla fondazione Open da munifici imprenditori quando il Renzismo era il verbo che dominava il discorso pubblico non fossero un finanziamento a un partito o a un politico, ma soldi destinati a una fondazione nata per svolgere attività culturale e politica in senso lato. «Se uno guarda i relatori che si sono susseguiti nei convegni organizzati da Open troverà tutto meno che politici di professione» rimarca l’avvocato Federico Bagattini, storico difensore della famiglia Renzi.

Dunque, secondo difensori e giudici, le cospicue erogazioni liberali al centro dell’inchiesta dovevano semplicemente garantire che le idee di Renzi si diffondessero nel Paese attraverso la fondazione e non miravano, come immaginato dalla Procura, a sostenere economicamente l’attività partitica del fu Rottamatore. Anche perché per ben tre volte (la terza senza rinvio) la Cassazione ha sentenziato che la fondazione, al contrario di quanto ipotizzato dai pm, non era un’«articolazione di partito» e i denari ad essa donati non erano un diretto sostegno al politico Renzi.

Quindi se Matteo, come è accaduto, usava i soldi di Open, per togliersi lo sfizio di noleggiare per circa 130.000 euro un aereo privato per partecipare alla commemorazione di Robert Kennedy stava semplicemente attuando lo spirito della fondazione.
È evidente che con le norme attuali tali enti sono il veicolo perfetto per attirare finanziamenti senza violare le norme. Soprattutto se, come in questo caso, i giudici non collegano i versamenti a eventuali provvedimenti legislativi e di governo.

Nel mirino della Procura erano finiti, con l’accusa di corruzione, pure il costruttore Alfonso Toto e due dirigenti della British american tobacco. L’imprenditore Riccardo Maestrelli (quello che prestò a Renzi i soldi per acquistare una villa) era accusato, invece, di finanziamento illecito, mentre Pietro Di Lorenzo di traffico di influenze.

A salvare l’intera combriccola ci ha pensato la riforma Cartabia, firmata dall’omonima costituzionalista renziana (Marta), legge che nel dispositivo viene utilizzata dal giudice per l’udienza preliminare Farini per chiudere la partita. Infatti, la toga ha dichiarato «il non luogo a procedere per tutti gli imputati in quanto gli elementi acquisiti non consentono di formulare una ragionevole previsione di condanna», dal 2022 presupposto normativamente necessario per disporre la prosecuzione del giudizio.

Nel nuovo codice quello che conta è evitare i costi, materiali e umani, dei processi che non sono basati su prove solide.

Il muro contro muro tra Turco e il Giglio magico si era manifestato plasticamente nella lunghissima querelle con Carrai, già strettissimo consigliori dell’ex premier. Quest’ultimo, raggiunto da un sequestro, aveva contestato la legittimità del provvedimento, ritenendo che la fondazione non potesse essere considerata un’articolazione di partito. E per tre volte la Cassazione gli aveva dato ragione. Ma Turco non si era arreso.

In attesa delle motivazioni della sentenza della Farini, che saranno depositate entro 90 giorni, gli avvocati esultano. Bagattini spiega alla Verità: «Il gup ha celebrato le esequie di un processo già morto. La Corte di cassazione aveva già certificato tre anni fa che nessun reato era neppure ipotizzabile. Abbiamo perso tempo. Peccato per l’onorabilità degli imputati e per i contribuenti che hanno speso inutilmente un sacco di soldi». Come detto, per tre volte i giudici del Palazzaccio avevano detto di no alla Procura, ma i loro provvedimenti emessi nell'ambito cautelare (i sequestri), non avevano la forza del giudizio definitivo e quindi il procedimento era potuto andare avanti. Ma come sarebbe finita era chiaro: la Cassazione aveva chiarito in modo inequivocabile che non si potevano fare sequestri esplorativi, non essendoci nemmeno un’ipotesi di reato concreta. Infatti, per le toghe di piazza Cavour la contestazione del finanziamento illecito era inconsistente perché Open, lo ripetiamo, non era un'«articolazione di un partito», ma una fondazione. «Ci voleva una bella faccia tosta (ma l’avvocato usa un altro termine, ndr) per continuare a fare il processo» prosegue Bagattini. C’era poi anche la questione dell’utilizzabilità delle mail scambiate con Renzi e con gli altri parlamentari da Carrai e da altri soggetti.

Sul punto, interrogata dal Senato, di cui fa parte l’ex segretario Pd, si è espressa la Corte costituzionale. La quale ha stabilito in via definitiva che la posta elettronica di un parlamentare, anche se sequestrata presso terzi, non può essere usata dai pm se non con l'autorizzazione della Camera di appartenenza. Che, in questo caso, non è stata concessa.

Ora bisognerà capire dalle motivazioni del gup se l’impossibilità di introdurre nel processo tali prove abbia influito sul proscioglimento. Nella lotta senza quartiere con i giudici, va ricordata anche la denuncia, con archiviazione, che Renzi ha presentato contro i pm fiorentini a Genova. Querela poi archiviata. Non è stato un po’ troppo provare a fare incriminare gli inquirenti? Bagattini ritiene di no: «Quando la Cassazione ha annullato il sequestro senza rinvio, ha dichiarato espressamente che il pm doveva restituire la documentazione sequestrata, che non poteva farne copia, né utilizzare quel materiale in alcun modo.

E, invece, sa che cosa è successo? Che il Copasir ha richiesto delle copie e Turco gliele ha mandate. Non è finita. In un’udienza il pm si è presentato in aula con un dischetto con il materiale prelevato a Carrai e ne ha chiesto il sequestro da parte del gup. Dopo le sentenze della Cassazione. Anche qui ci vuole una faccia da terzo gradino del podio per fare una richiesta del genere. La reazione di Matteo Renzi è arrivata dopo questi passi». Turco è lo stesso magistrato che aveva chiesto e ottenuto gli arresti domiciliari per i genitori di Renzi, accusati di bancarotta.

Il Tribunale del riesame aveva poi annullato la misura cautelare più severa, sostituendola con l’interdizione temporanea dall’attività imprenditoriale. Il processo si è concluso con la condanna a 3 anni e 2 mesi di reclusione per Tiziano e Laura per false fatturazioni, ma è caduta, nel contempo, la contestazione più grave, quella di aver causato il crac di tre cooperative. Turco, a novembre, ha presentato appello contro l’assoluzione. Ma adesso a portare avanti la sua battaglia in aula dovrà essere qualcun altro. Dalla vigilia di Natale Turco sarà in pensione. Un altro regalo sotto l’albero per Renzi e famiglia.

Il senatore, ieri, in conferenza stampa ha attaccato tutti, parlando di «sei anni di indagini surreali e illegittime», di «gogna mediatica a reti unificate», «di perquisizioni incostituzionali,» e «di pubblicazioni illegali» e ha attaccato i politici di tutti gli schieramenti, da Giorgia Meloni («Perché non ha trovato un momento per fare un tweet e scusarsi per quello che il suo partito ha fatto?») al Movimento 5 stelle ai suoi vecchi compagni di partito (Pier Luigi Bersani e Rosy Bindi), e i «pregiudicati» Marco Travaglio e Piercamillo Davigo che avrebbero messo in dubbio la sua moralità. Ha annunciato che voterà per la separazione delle carriere dei magistrati, anche se il Guardasigilli Carlo Nordio «è la più grande delusione di questo governo». E alla fine ha lanciato un messaggio criptico: «È come in Pac-man, quelli che ti vogliono mangiare diventano potenziali prede, ma questo sarà molto più chiaro nel 2025». Auguri a tutti da Italia viva.

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