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Il teorema della passione

Architetto per formazione e manager della salute per professione, Mariastella Giorlandino ha iniziato il proprio percorso lavorativo nella sanità privata ed oggi è una delle imprenditrici più apprezzate nel settore non soltanto a Roma, città nella quale è nata e vive. Con la sua Fondazione Artemisia ETS si occupa di prevenzione e di iniziative benefiche, grazie ad una storia e ad un impegno personale e professionale che oggi restituisce nel suo “Il teorema della passione” (Mondadori, 2024), costruito nell’esatto punto di incontro e di equilibrio tra la propria storia personale e quella professionale.

Dottoressa Giorlandino, un libro per ripercorrere sé stessa, per ritrovarsi, per indicare nuove vie professionali. Un’autobiografia?

«Un lungo viaggio che ripercorre la mia vita di imprenditrice, raccontata attraverso una raccolta di messaggi positivi per i giovani, ovvero di scelte di vita e di valori che vengono trasmessi, senza i quali non è possibile raggiungere il benessere, la propria realizzazione e la costruzione di un futuro florido e sostenibile. Messaggi che sottolineano il ruolo cruciale di donna nel ruolo di lavoratrice e di madre, fulcro della famiglia, nel percorso educativo e formativo per la costruzione della nostra società».

Tra le righe forte è il messaggio che lei lancia…

«Tento di indicare un’inversione di rotta per dare un orientamento ai giovani, evitando che si identifichino in modelli del tutto errati -la forza, l’aggressività ed il potere come valori a cui ambire- ed un sostegno ai genitori spesso troppo assenti a causa di ritmi di vita insostenibili. Anche questo significa tutelare le fasce più deboli, dare sostegno al prossimo e, alla fine, sostenere sé stessi».

Emerge, indubbiamente, la sua storia di imprenditrice del nevralgico settore della sanità.

«Racconto anche il mondo sanitario, nel quale lavoro ormai da tantissimi anni e che purtroppo si sta dirigendo sempre più verso un punto di non ritorno. Non esistono più progetti sanitari chiari, programmi concreti per l’abbattimento delle liste di attesa, per la velocità di diagnosi e per le terapie di precisione, ormai tutto è mosso da interessi personali dei movimenti politici che sfruttano ideologicamente le informazioni invece di dare vita a progetti per salvare la vita delle famiglie italiane e ridurre le patologie gravi».

Riprende una storia che parte dalle radici familiari...

«Una famiglia, la mia, di persone semplici ma con tanta forza interiore: un periodo di fatiche, di speranze, di piccoli successi con i dubbi che il linguaggio dell’economia definisce “rischio d’impresa”. Ma abbiamo resistito, io stessa mi sono potuta “permettere” gli studi in architettura terminati nei tempi previsti e l’ingresso in Artemisia, una società all’epoca costituita da 5 ginecologi, mi vedeva come addetta alla segreteria con il compito di organizzare il lavoro interno allo studio. Non avevo nessuna esperienza di Sanità, ma mi resi conto che occorresse ridare un’organizzazione per trasformare il centro privato, il poliambulatorio, in una struttura più complessa».

In che senso, in che modo?

«Mi resi conto che andava subito costruita una serie di rapporti con l’università, gli specialisti italiani ed esteri, trasformando quel piccolo laboratorio in un brand innovativo. All’interno non ero ancora capita, ma mi lasciavano fare, apprezzando almeno il mio entusiasmo. La crescita scientifica è arrivata lentamente ma inesorabilmente: i medici, compreso mio fratello, gestivano l’aspetto clinico, io coordinavo l’organizzazione finalizzata anche ad una fase scientifica, di didattica, di formazione».

Lei affronta il delicato tema della gestione della macchina sanitaria.

«Si discute molto della figura e del ruolo del manager, cioè di colui che dirige, gestisce, programma e costruisce: tale profilo, ancor oggi, proviene dall’ambito medico, mentre sostengo con forza che essendo ormai cresciuta a dismisura la richiesta di competenze tecniche, gestionali, economiche e finanziarie, sarebbe -forse- giunto il tempo che questa figura apicale venisse reclutata in ambiti altri rispetto a quelli tradizionalmente “sanitari”. Il manager deve fare i conti, amministrare e non è materia che possa appartenere alle competenze strettamente mediche, che sono altra cosa…».

Il tema abbraccia anche quello del rapporto tra sanità pubblica e privata…

«Siamo al cuore del problema. Perchè nessuno ci spiega che il servizio sanitario pubblico non è gratuito? In realtà appartiene a tutti noi cittadini e dunque ognuno di noi lo finanzia, integralmente, attraverso le tasse. Ci comportiamo, invece, come se non fosse così, siamo sempre riconoscenti allo Stato per il sistema che ci mette a disposizione e siamo costretti, purtroppo, a subirne tutti i disservizi. Alla fine chi gestisce una tale complicatissima macchina, sarà chiamato a rispondere soltanto della qualità del servizio erogato, potendo poi contare su una qualche entità superiore che metterà le cose apposto».

Il tema è di scottante attualità…

«Certo, perché affronto la falsa idea che le prestazioni rese dalla Sanità pubblica siano gratuite. Cito sempre l’esempio di una mammografia, il cui esito non di rado viene rilasciato dopo mesi, spesso un anno, dalla richiesta. Alla fine non è una forma di prestazione gratuita perché l’utente-cittadino arriva a pagarla ben oltre di quanto la pagherebbe nel settore privato. E così, alla fine, il sistema degenera incontrollato e incontrollabile, con la lievitazione dei costi che nessuno è in grado di arginare».

Lei si sarà ormai fatta un quadro, avrà trovato le risposte giuste…

«Tocchiamo con mano sprechi e disservizi della Sanità pubblica, prova di un pessimo impiego del denaro che versiamo allo Stato sottoforma di tassazione affinchè siano erogati servizi che noi vorremmo all’altezza di uno Sato civile. Un’idea, ormai, me la sono fatta, nel senso che il sistema sanitario è stato per lungo tempo -e ancora lo è…- nelle mani di persone non in grado di costruire la sanità pubblica in termini di logica e sistematicità, creando disordine e improvvisazione. Ecco, forse un “architetto” sarebbe riuscito a mettere ordine. La mia è una provocazione, certo, ma non tanto distante dalla realtà auspicabile…».

Lei parla di “una presa di coscienza collettiva”…

«Sostengo che occorra partire dal basso, costruire le fondamenta per una presa di coscienza collettiva. Mi sono fatta avanti in prima persona, ho messo in gioco il mio know-how dopo tanti anni di esperienza “provata” assumendo di recente la presidenza del comparto Sanità e Salute della Confapi Lazio, la Confederazione italiana della piccola e media industria, per offrire la competenza maturata in tanti anni e cercare di raggiungere soluzioni ragionevoli ai problemi che affliggono la sanità nel Lazio e, credo, nel resto d’Italia. In questo settore lo scopo da raggiungere è la massima qualità della prestazione ad un prezzo equo: le prestazioni dovrebbero essere rese da professionisti in tempi rapidi, visto che la tempistica, molto spesso, salva vite umane».

Potremmo obiettare che la buona sanità ha comunque un costo.

«Certo, ma che deve restare equo. Faccio un esempio: per parlare sempre di mammografia, da noi ha un costo che varia dai 100 ai 120 euro, con referto rilasciato il giorno dopo. Nel pubblico il costo complessivo supera i 450 euro, senza considerare la lunga lista d’attesa, e questo costo lo paghiamo, complessivamente, noi utenti. Invece gli esami diagnostici c.d. convenzionati, effettuati nelle strutture sanitarie private, vengono rimborsati dal Servizio sanitario locale ben sotto il reale costo che la medesima struttura sopporta per erogare il servizio».

Ci faccia capire meglio…

«Secondo quando accade nel Ssn la struttura privata, al fine di poter erogare una prestazione specialistica, sosterrà -ad esempio- un costo di 100 euro, dei quali 80 verranno rimborsati ad essa. Con questa prassi i “privati” saranno costretti a ridurre la qualità dei servizi per poter ammortizzare i costi sostenuti. Non dimentichiamo che la stessa prestazione nel settore pubblico verrà erogata ad un costo 4 volte superiore che verrà sostenuto da noi cittadini per mezzo della tassazione».

Lei quale soluzione prospetta?

«L’unica realmente praticabile, ovvero una sinergia tra Sanità pubblica e privata, con quest’ultima posta a servizio e supporto della prima, in cui il denominatore comune sia assolutamente la “qualità del servizio”».

Cosa intende?

«Per salvare la sanità serve onestà intellettuale e giusta analisi dei costi! La sanità è un dovere morale, non può essere valutata come un’economia di scala, ma serve qualità del servizio, velocità delle diagnosi, costi elaborati opportuni, abbattimento delle liste di attesa, fondi adeguati, professionalità e medicina di precisione! Il dovere sociale impone di aprire a progetti mirati per salvare vite, non solo a ristrettezze e tagli, perché il fine rimane pur sempre la salute di noi italiani».

Ci lasci con un messaggio, un augurio, un auspicio.

«Il “teorema della passione” è vivere e lasciare un segno di sé stessi in qualsiasi cosa si faccia, soprattutto nel ricordo delle persone e nel bene che hai fatto, per dare un significato alla propria vita, ma nulla si realizza senza chiarezza, passione e progettualità! Soprattutto quando si ha a che fare proprio con la nostra salute…».

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